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Quello che manca alla proposta italiana sulla migrazione

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In occasione del Consiglio europeo previsto tra il 28 e il 29 giugno il Governo del cambiamento guidato da Giuseppe Conte ha preparato una propria proposta sul tema della migrazione.

Si tratta di un documento volto a spiegare in maniera esaustiva quali saranno le priorità dell’attuale esecutivo italiano in materia di migrazione e come esse possano essere armonizzate con le più ampie esigenze dell’Unione.

Gli obiettivi della proposta italiana

La proposta è già stata presentata alle controparti europee durante il pre vertice della settimana scorsa. Nel corposo documento, denominato “European multilevel strategy for migration”, sono elencati dieci obiettivi primari:

1) Intensificare i rapporti tra Unione europea e Paesi terzi (per esempio con la Libia);

2) Creare centri di protezione internazionale nei Paesi di transito;

3) Rafforzare le frontiere esterne dell’Unione europea (con il supporto della Guardia costiera libica);

4) Superare il regolamento di Dublino;

5) Superare il criterio del Paese di primo arrivo (chi sbarca in Italia, sbarca in Europa);

6) Unione europea e Stati membri devono assumere una responsabilità comune sulle persone salvate in mare;

7) L’Unione europea deve farsi carico di iniziative contro la tratta di esseri umani;

8) Creare centri di accoglienza in più Paesi europei, non solo in Italia e Spagna;

9) Riformulare la gestione dei movimenti secondari, alla luce degli obiettivi precedenti;

10) Ogni Stato ha la facoltà di stabilire quote di ingresso dei migranti economici.

Il merito del nuovo esecutivo rispetto al Governo Gentiloni

La novità e il merito della proposta sta nella formulazione organica delle priorità che l’Italia ha ormai partorito da tempo. Come molti critici affermano, è vero che parte di questi obiettivi facevano già parte dell’agenda del Governo precedente, in particolare su spinta del ministero Minniti. Tuttavia il merito dell’attuale esecutivo è quello di

La visita di Salvini in Libia rientra già nella proposta italiana

aver reso l’Italia artefice di una proposta multidimensionale che ne tuteli gli interessi nazionali.

D’altronde i Paesi di primo arrivo sono quelli che possono dare all’Europa un quadro più reale dei bisogni e delle priorità che la situazione migratoria richiede. Il grosso limite del Governo Gentiloni è stato proprio quello di aver delegato sulla questione migratoria enti e Paesi lontani dalle frontiere mediterranee che hanno, ovviamente, privilegiato i loro interessi nazionali, sottovalutando i nostri.

La proposta di Giuseppe Conte ha dei limiti

Nella proposta del Governo Conte, che pur rappresenta un bel passo in avanti, restano però dei limiti di concetto, senza i quali la cause strutturali dei movimenti migratori difficilmente potranno essere eliminate del tutto. Se, come i dati riportano, solo il 7% di coloro che sbarcano sono “rifugiati”, il vero nodo sta nel risolvere la condizione del restante 93%, ovvero i cosiddetti migranti economici.

Si tratta di persone che dall’Africa subsahariana, e da dopo il 2011 anche dal Nord Africa, si spostano a causa di condizioni economiche non soddisfacenti. In una proposta come quella italiana sarebbe appunto fondamentale individuare le cause di questi movimenti che, dati alla mano, rappresentano quasi la totalità degli sbarchi. Ne abbiamo individuate tre, con possibili annesse soluzioni.

La responsabilità storica dei Paesi europei

Aggiungiamo quello che sarebbe l’undicesimo obiettivo del documento, ovvero il ricollocamento dei migranti economici sulla base della responsabilità storica degli Stati membri dell’Unione europea. È innegabile che il colonialismo europeo, in particolare francese, inglese, belga e portoghese sia responsabile dell’attuale sperequazione economica presente nel continente africano. Dunque il principio è molto semplice, gli immigrati vengono ricollocati nell’ex Paese coloniale di riferimento. Chi arriva dall’Africa occidentale (Mali, Chad, Niger, Senegal, Costa D’Avorio e via dicendo) verrà accolto nella Francia di Macron. I congolesi saranno collocati in Belgio, gli angolani in Portogallo, mentre i migranti dal Kenya, Sudan e Sud Sudan saranno sotto la responsabilità della Corona britannica (che tante risorse ha sottratto a quei Paesi).

L’ingombrante presenza francese in Mali

L’Italia avrebbe a quel punto una responsabilità più che sostenibile sulla Libia e sul corno d’Africa (Eritrea, Etiopia e Somalia). Questo ricollocamento sarebbe anche un incentivo non indifferente per interrompere tutte le odiose pratiche economiche neocoloniali che tuttora contribuiscono a creare crisi nei Paesi africani. Per esempio l’utilizzo della moneta francese, il franco FCA, in ben 14 Paesi africani, Comore comprese, che ingabbia la politica monetaria di questi Stati. Sarebbe inoltre un incentivo per l’Italia per tornare a recitare un ruolo diplomatico da protagonista nelle attuali crisi del corno d’Africa, Somalia in primis.

Le responsabilità del Fondo Monetario Internazionale

Come non si può prescindere dalle responsabilità coloniali, così non si può ignorare il ruolo del Fondo Monetario Internazionale (Fmi) sulla salute dell’economia degli Stati africani. Tale organismo, il cui consiglio esecutivo è composto in base alla quota associativa versata (chi paga di più ha maggiore peso nelle decisioni), ha sempre imposto l’agenda economica americana, essendo il Paese con la maggiore quota. Quella strategia, nota come Washington consensus, che prevede la cura delle economie dei Paesi del terzo mondo attraverso i tristemente noti “programmi di riforme strutturali”.

Si tratta altresì della vecchia versione dell’austerity, ove viene usato lo spettro della corruzione statale per l’avvio di profondi tagli alla spesa pubblica con il fine ultimo di abbattere il debito e raggiungere il pareggio di bilancio. Programmi dissennati che hanno contribuito alla distruzione di numerose economie africane come denunciato da premi Nobel dell’economia, quali Joseph Stiglitz, Paul Krugman e come ben evidenziato in questo documentario di Report risalente a inizio anni 2000.

Il dodicesimo obiettivo della proposta dovrebbe dunque essere una rinegoziazione dell’Europa in sede Fmi per allentarne le politiche economiche sul continente africano.

Il potere della Cina in Africa

Infine non si può parlare di Africa senza menzionare l’attore più rilevante sul Continente nero nel terzo millennio, ovvero la Cina. Pechino è ormai presente ovunque, da est a ovest, dal Botswana alla Tunisia e con particolare intensità sulla costa est (Kenya e Tanzania). La Cina porta avanti in Africa progetti mastodontici, alcuni dei quali rientrano nel “One Belt One Road”, che mira a potenziare il collegamento di Pechino con l’Europa. Come avevamo scritto in questo articolo, spesso la Cina investe in enormi progetti infrastrutturali che generano scompensi nell’economia locale. In pratica gli investitori cinesi usano la manodopera locale e bloccano così l’ascesa della classe media.

Inoltre i progetti di Pechino spesso non sono orientati a soddisfare i bisogni della popolazione locale,

Dirigenti cinesi e manovali africani

ma sono solo funzionali all’interesse dell’investitore (ferrovie e autostrade sono così costruite in base a una mera funzione commerciale).

In questo caso sarebbe davvero necessario un fronte comune europeo per negoziare alla pari con la Cina. Pechino necessita dei mercati europei e la prospettiva di una loro chiusura potrebbe essere usata come termine di negoziazione per inserire comitati tecnici europei nella validazione dei progetti cinesi in Africa. Comitati che dovrebbero avere il compito di valutare l’impatto sociale delle opere volute da Pechino.
Prendiamo dunque atto del salto di qualità del Governo Conte, ma, come dimostrato, le sfide sono ben più ampie di come prospettato.

 

di Gabriele Tebaldi

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