Politica interna

Ponte Morandi e Italia Viva: la strana storia del liberismo finanziato dallo Stato italiano

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Per diversi anni il lettore medio italiano si è ritrovato con il suo bel giornale di prima mattina pronto a leggere un buongiorno di Massimo Gramellini, con cui il giornalista torinese cercava di dare la sua versione circa il declino del belpaese.

Si sono sprecate in questo senso le similitudini con l’incidente della Costa Concordia e del suo capitano Schettino, dove la nave crociera rappresentava, secondo Gramellini, lo Stato italiano mentre il suo capitano incarnava i disvalori dell’italiano medio: arrivista, raccomandato e codardo.

Una narrazione perfetta per dire che l’Italia è vittima, in sostanza, di se stessa e dei difetti congeniti del suo popolo. Verissimo, applausi, bravo, bis.

C’è tuttavia un errore di fondo analitico

in cui Gramellini, e come lui molte altre penne del mainstream, è caduto in maniera più o meno consapevole: nessuno di noi è a conoscenza di quanti “Schettino” fossero presenti sulla Costa Concordia, ma siamo invece tutti sicuri che la tragedia sia stata causata dall’unico che aveva la responsabilità della nave, ovvero il suo capitano.

Quindi, del presunto arrivismo dell’italiano medio poco dovrebbe fregare a Gramellini che invece farebbe bene a interessarsi dell’arrivismo di chi detiene il potere e di chi, attraverso la ratifica di trattati internazionali e l’approvazione di strategie di politica economica di un certo tipo, ha trascinato davvero la nave del nostro Paese alla deriva.

Più del caso Concordia

è tuttavia il crollo del Ponte Morandi l’episodio che meglio rappresenta plasticamente il buco nero distruttivo in cui una precisa classe politica ha deciso di scaraventare l’Italia e i suoi ignari cittadini, arrivisti o meno che siano. Nella tragedia del Ponte Morandi c’è tutto, c’è il riassunto della storia italiana degli ultimi trent’anni.

C’è la risposta ad ogni quesito sul perché e il per come il nostro Paese sia passato dall’essere la quarta potenza industriale al mondo fino ad arrivare al declassamento nel gruppo dei PIIGS, i maiali d’Europa. Quel tratto autostradale caduto che ha causato la morte 43 persone, lo sfollamento di 566, il dolore e la tragedia di tutti i familiari coinvolti, oltre agli incalcolabili danni socioeconomici connessi, dovrebbe stagliarsi come memoria imperitura collettiva per ricordare gli errori commessi.

Per ricordare in particolare, a chi continua a sostenere l’efficienza del privato rispetto al pubblico, che quel tratto crollato miseramente era privato all’88,06%, ovvero la quota detenuta da Atlantia della società Autostrade. La responsabilità penale del disastro da parte del gruppo, che fa capo alla famiglia Benetton, deve ancora essere dimostrata.

Ciò che invece è stato già ampiamente evidenziato

è come la gestione del privato abbia portato ad un aumento sostanziale dei dividendi per gli azionisti e, parallelamente, ad un drastico taglio degli investimenti per la manutenzione della rete autostradale. Scriveva in merito Giorgio Ragazzi, professore di economia e autore del libro “I padroni delle autostrade:

Gli investimenti previsti, sulla base dei quali le concessionarie ottennero nel 1999 lunghe proroghe delle concessioni e incrementi di tariffa, non sono stati realizzati se non in piccola parte. Le concessionarie hanno invece registrato enormi extraprofitti.

Cade dunque la maschera del mantra evergreen secondo cui “privato è bello”, mostrando invece l’evidenza di un principio economico elementare: il soggetto privato tende esclusivamente alla massimizzazione del profitto economico. Se questo possa avvenire anche a discapito del benessere collettivo lo si è evinto, oltre che dal caso Morandi, anche nel comportamento di numerose aziende che, al primo sentore di crisi, hanno delocalizzato immediatamente la produzione, desertificando l’industria di interi centri urbani. In questo senso un’azienda automobilistica torinese ne è esempio lampante.

La storia recente italiana

si riassume quindi nella tragedia del Ponte Morandi perché la concessione al soggetto privato di un’infrastruttura fondamentale, prima di proprietà pubblica (dell’IRI), è figlia della II Repubblica. Ovvero quella classe politica, che tornando a Schettino, ha firmato ad occhi chiusi un Trattato come quello di Maastricht che ha imposto al Paese una serie di vincoli di spesa ed investimenti pubblici che hanno portato verso un’unica direzione: lo smantellamento degli asset statali e la loro svendita a soggetti privati.

Ve la ricordate la storia del marito che per fare un dispetto alla moglie si amputa i genitali? Ecco, la classe politica firmataria di Maastricht è stata per certi versi come quel marito. Peccato che i genitali fossero quelli di tutti noi cittadini.

Il Ponte Morandi non è però solo rappresentazione di storia passata, ma è anche simbolo del periodo attuale. Ci permette di capire come quel mantra del “privato è bello” sia incredibilmente ancora vivo e pieno di fans. Ci sta pensando (Forza) Italia Viva in questi giorni a tentare di risollevare le sorti di quel liberismo d’accatto, unico vero sospettato per la tragedia del Ponte.

Tra mille lentezze, fatiche e dubbi

il Governo sta infatti preparando il decreto Mille proroghe che prevede, tra le altre cose, la revoca delle concessioni autostradali ai Benetton, con un timidissimo tentativo di ridurre la penale in cui incorrerebbe lo Stato italiano in questo caso. Eh già, perché il marito senza genitali di cui sopra non solo ha svenduto il patrimonio autostradale ai privati, ma ha anche sottoscritto delle clausole di concessione che sfavoriscono del tutto lo Stato italiano.

In tutto questo il partito di Renzi, proiettato al 4% dei consensi, cosa fa? Dichiara di voler presentare un emendamento per lasciare immutata la maxi penale che si dovrebbe accollare lo Stato in caso di revoca.

Italia Viva entra così di diritto nel magico circolo dei liberisti con i soldi pubblici. Un partito che gode dei fondi pubblici di Camera e Senato, i cui parlamentari sono stipendiati da contratto pubblico che predicano, però, il liberismo, per gli altri ovviamente.

Italia Viva fa il pari così con Radio Radicale e + Europa, per cui “privato è bello” ma solo se finanziato con i soldi di Stato.

 

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Redazione Elzeviro.eu

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