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Il divieto di assembramento è ciò che distingue una dittatura da una democrazia

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Si è registrata ieri una nuova epifania vespertina del vis-Conte dimezzato giallofucsia, che ha annunziato al Paese le linee guida del nuovo “Decreto Rilancio”.

di Diego Fusaro

Un passaggio, più di tutti, merita di essere sottolineato. In più occasioni, lo zelante avvocato dei mercati ha ricordato che gli eventuali allentamenti delle restrizioni (in primis del “lockdown”) non erano certo da intendersi come un “liberi tutti” (sic!): quasi a mantenere ben salda, nei cittadini, la consapevolezza del fatto che il regime sanitario è lungi dal potersi dire terminato.

Ebbene, ieri sera il vis-Conte dimezzato ha testualmente asserito: “resta il divieto di creare assembramenti in luoghi pubblici”. Coerente con la privatizzazione liberista delle esistenze e con il niente affatto neutro tramonto della sfera pubblica, il divieto di “assembramenti” – e dunque di pubbliche riunioni, di manifestazioni politiche e di proteste di piazza – è stata una costante da marzo a oggi.

Ha, di fatto, paralizzato la vita pubblica degli italiani

e ogni attività politica: ha, per così dire, sequestrato le piazze e i luoghi di incontro e di confronto, quelli nei quali si sviluppano le relazioni non elettroniche tra i viventi. Ovviamente, la messa in congedo del diritto di assembramento è spiegata, come sempre, alla luce e in nome dell’emergenza: e ciò costituisce una prova della nostra tesi del paradigma securitario come nuovo fondamento del capitalismo autoritario e terapeutico, che riduce le libertà fondamentali in cambio della garanzia della conservazione della nuda vita.

Personalmente, non ricordo precedenti, nella vita pubblica italiana, nel passato più recente: per trovare qualcosa di simile, sono dovuto risalire alle “leggi fascistissime”, testo unico di pubblica sicurezza (R.D. 6, novembre 1926, n. 1848): dove, appunto, si parla espressamente di restringimento della libertà di riunione e di associazione.

Ovviamente le tante “anime belle”, nonché i troppi affetti dalla “sindrome di Stoccolma”, diranno che è un paragone insensato, dacché il fascismo era una dittatura, mentre invece oggi prospera la democrazia o, se anche non prospera, ciò dipende soltanto dall’emergenza del Covid19.

Anche il fascismo

va detto, impose il divieto di assembramento non certo presentandolo come una scelta libera, ma come una necessità, in particolare volta – questo il subdolo argomento – a proteggere la vita pubblica dello Stato dai pericolosi cospiratori e, si direbbe oggi, “complottisti”. Oggi è, invece, un virus a rendere plausibile, agli occhi dei più, il divieto di assembramento, ossia la rinunzia a una delle prerogative principali che distinguono, appunto, una democrazia da una dittatura.

Il fascismo prometteva sicurezza impedendo i rassembramenti dei cospiratori. Il nuovo regime sanitario garantisce salute vietando i raduni dei contagiati. In entrambi i casi, si baratta la libertà per la sicurezza. Valgano, allora, le parole del Presidente della Repubblica Mattarella in occasione del suo discorso per la celebrazione del 25 aprile del 2019: “la storia insegna che quando i popoli barattano la propria libertà in cambio di promesse di ordine e tutela, gli avvenimenti prendono sempre una piega tragica e distruttiva”.

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