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La drammatica situazione dei senzatetto nel nostro Paese

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Come era prevedibile, il Coronavirus ha inciso pesantemente sul tasso di povertà. In particolar modo, uno degli aspetti meno indagati di questo fenomeno è l’effetto della pandemia sui contesti di deprivazione estrema, come il mondo dei senza dimora. 

Secondo il rapporto Caritas del 2020 su povertà ed esclusione sociale in Italia, l’incidenza dei senzatetto sul totale delle persone aiutate è cresciuta dal 31% dell’anno scorso al 45%. Gli ultimi dati ufficiali su scala nazionale che abbiamo risalgono al novembre 2014, quando l’Istat ha stimato 50.724 senza dimora nei principali 158 comuni della penisola.

L’unica stima nazionale più recente è quella del rapporto Caritas del 2018, che certifica invece 28.697 senza dimora, ma considerando solo coloro che si sono rivolti ad un centro di ascolto dell’associazione cattolica. 

Come si diventa senza dimora?

Le ragioni che possono portare una persona a vivere in strada sono complesse e vanno ben oltre la semplice mancanza di una casa. Nonostante la perdita del lavoro e dell’abitazione siano spesso le cause scatenanti, un tratto comune e ricorrente dei senza dimora è la rottura dei rapporti con la famiglia.

Possiamo ricollegare questo dato al concetto di “familismo forzato”: secondo quanto raccontato dal sociologo David Benassi ai microfoni di Milano Invisibile, in Italia il sistema di welfare e il mercato del lavoro funzionano in un rapporto di sussidiarietà con le strutture familiari, viste come fondamentali paracaduti sociali.

In mancanza di questo tipo di assistenza informale, quello che vediamo è una tendenza per le persone in difficoltà a cadere al di fuori dei normali canali di funzionamento della società, un processo chiamato désaffiliation dal sociologo francese Robert Castel.

I casi di Milano, Torino e Roma

Le città italiane presentano importanti differenze nella qualità della gestione del fenomeno dei senza dimora. Milano infatti è presa a modello in tutta Europa per la sua capacità di offrire servizi in abbondanza potenzialmente a tutta la popolazione di senzatetto presente sul territorio comunale.

La città è riuscita a più che raddoppiare il numero di posti letto dal 2011 ad ora, come spiegato da Pierfrancesco Majorino nel corso del documentario Milano Invisibile, e risulta ora essere il maggior centro di senza dimora in Italia. 

Allo stesso tempo, Torino, che già nel 2010 era capace di ospitare solo il 62% dei senza dimora, non è riuscita ad adeguare le sue strutture all’aumento di persone in difficoltà. Ciò è andato di pari passo con una ostilità sempre maggiore verso i senza dimora, attraverso azioni come gli sgomberi dalle vie del centro.

Ancora peggio ha fatto Roma, dove il fenomeno non ha mai vantato una gestione virtuosa e già nel 2013 solo la metà degli homeless potevano essere ospitati in strutture notturne. Questo ha avuto gravi conseguenze per coloro che si ritrovano in strada durante le notti invernali, con ben 12 i morti solo nell’ultimo inverno.

L’emergenza sempre al primo posto

La questione dei senza dimora è estremamente complicata. Con dati dissonanti e scarsi, una demografica non avvezza alle interazioni con lo Stato e la difficoltà di creare un sistema che possa reintegrare queste persone, la tendenza è sempre quella di elaborare una risposta immediata e a carattere emergenziale, anziché elaborare piani a lungo termine.   

                                                                                     

I progetti che finora appaiono più promettenti per dare una risposta strutturale al problema dei senza dimora risultano essere quelli di Housing First (lett. “l’abitazione prima di tutto”), che propone di evitare il lungo processo di reinserimento a cui adesso sono sottoposti i senza dimora, dando loro subito una sistemazione.

In particolare, l’esempio europeo più promettente è quello della Finlandia, dove questo sistema è stato impiegato per la prima volta su larga scala oltre 10 anni fa su iniziativa del governo. Da allora il numero di senza dimora è diminuito di oltre il 35%, rendendo la Finlandia l’unico Paese dell’Unione europea ad aver visto una riduzione del fenomeno. 

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Di Mattia Mollica

Studente di Scienze Internazionali dello Sviluppo e della Cooperazione presso l'Università degli Studi di Torino.

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