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La convivenza impossibile tra la Costituzione italiana e i trattati comunitari

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Per poter uscire dalla crisi si devono prima comprendere le “vere” cause, che, ovviamente, non corrispondo neanche minimamente a quelle che ci propinano i “media” che, nella grande maggioranza, definire di regime pare addirittura un eufemismo.
Queste parole potrebbero sembrare un po’ troppo forti, ma prima di pronunciarvi vi invitiamo a fare una piccola riflessione su uno dato di fatto innegabile. In questo paese non si vota secondo legalità Costituzionale dal 2006, quindi da allora il voto espresso non è eguale, libero e personale.
La Corte Costituzionale, nel 2014, ha dichiarato incostituzionale la legge elettorale denominata “porcellum“, ma questo non ha modificato la composizione del Parlamento. Come vogliamo chiamare questo stato? Se non si trattasse dell’Italia non vi sarebbe alcun dubbio: “dittatura”. Gli effetti del porcellum sono stati catastrofici: il premio di maggioranza, Parlamento composto da “nominati” scelti dai partiti, hanno sovvertito l’equilibrio tra i tre fondamentali poteri dello Stato, esecutivo, legislativo e giudiziario. La Costituzione Italiana prevede che il Parlamento debba essere il luogo ove, previo dibattito, si legifera (art. 70 Cost.), con il “porcellum” si è invece fatto in modo che il Parlamento diventasse semplicemente il luogo in cui vengono ratificate le decisioni già prese dal Governo. Decisioni peraltro usualmente rese vincolanti a colpi di decreto legge, emessi andando ben oltre i requisiti di cui agli artt. 76 e 77 della Costituzione, utilizzando anche il cosiddetto strumento della fiducia al momento della conversione.
Un Parlamentare “nominato” equivale ad un Parlamentare “ricattabile”, visto che esso sa perfettamente che se non vota la fiducia ad un provvedimento del Governo tornerà a casa poiché, in caso di scioglimento delle Camere, il partito non lo inserirebbe nuovamente nelle liste elettorali impedendogli di proseguire nel suo incarico con buona pace anche dell’assenza di vincolo di mandato costituzionalmente prevista (Art. 67 Cost.).
Ma si deve anche dire che il Governo, a sua volta, è diventato soltanto il mero esecutore dei provvedimenti di Bruxelles, ovvero di quella UE che oggi è il braccio armato di una strisciante dittatura finanziaria “ordoliberista”. Ma in parole semplici cos’è successo? Per capirlo basta partire dalla semplice lettura di una frase di Mario Monti: 
Io ho una distorsione che riguarda l’Europa ed è una distorsione positiva, anche l’Europa, non dobbiamo sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di crisi e di GRAVI crisi per fare passi avanti. I passi avanti dell’Europa sono per definizione cessioni di parti delle sovranità nazionali a un livello comunitario. E’ chiaro che il potere politico, ma anche il senso di appartenenza dei cittadini, ad una collettività nazionale possono essere pronti a queste CESSIONI solo quando il costo politico e psicologico di non farle diventa superiore al costo del farle perché c’è una crisi in atto visibile conclamata. Certamente occorrono delle autorità di enforcement rispettate che si facciano rispettare che siano indipendenti e che abbiano risorse e mezzi adeguati oggi abbiamo in Europa troppi Governi che si dicono liberali e che come prima cosa hanno cercato di attenuare la portata la capacità di azione le risorse l’indipendenza delle autorità che si sposano necessariamente al mercato in un’economia anche solo liberale“.
Queste parole sono la pura e semplice ammissione che la crisi è un atto necessario al fine di ottenere cessioni di parti di sovranità nazionale, a questo servono il MES ed il ERF, che non sono altri che strumenti di costrizione ed esecuzione.
Quindi da un piccolo esercizio di logica possiamo asserire che la crisi è stata “codificata” nei vari trattati europei a partire da quello di Maastricht, trattati che sono incompatibili con la Costituzione Italiana.  In particolare assume rilievo il Protocollo n. 12 del Trattato sulle procedure di disavanzo eccessivo e la cessione completa della sovranità monetaria. Il protocollo n. 12 allegato al Trattato di Maastricht, fissa un limite massimo al debito pubblico complessivo nel rapporto col PIL pari al 60% ed introduce il famoso vincolo del 3% del deficit annuo, ovvero la quota di indebitamento massimo rispetto al PIL consentita ad una nazione.
Il 3% del PIL annuo non è sufficiente a coprire neppure gli interessi passivi sul debito pubblico, ergo lo Stato è costretto a tassare più di quanto spende. Dal 1992 in poi l’Italia ha collezionato una serie record di avanzi primari che hanno portato il paese nell’attuale drammatica situazione economica. Quindi l’Italia muore perché ha i conti troppo in ordine!
La politica monetaria, o meglio la svalutazione della moneta, consente una bilancia dei pagamenti positiva, ed è quello che faceva l’Italia quando aveva l’amata Lira. Oggi invece la competitività si può ottenere solo deflazionando i salari, azione incostituzionale in una Repubblica fondata sul lavoro (Art. 1 Cost.) e dai costi umani immensi (si pensi solo al numero dei suicidi già avvenuti in Italia ed in Europa).
Le obiezioni a tali considerazioni sono sempre le solite e, spiace dirlo, dimostrano unicamente una palese ignoranza giuridica ed economica. Eccone una classica: 
ma dove prendiamo allora i soldi per finanziare la spesa a deficit?” Facile, andrebbero finanziati con la piena sovranità monetaria e dunque stampando direttamente moneta oppure avvalendosi di una banca centrale pubblica in grado di acquistare i titoli di Stato che sovranamente la nazione emetterà per finanziare la propria spesa senza alcun limite. La spesa pubblica dunque come mezzo per immettere nuova moneta nel sistema. 
La seconda obiezione sarebbe quella secondo cui immettendo moneta nel sistema si avrebbero spinte inflazionistiche non controllabili. L’inflazione è più uno spauracchio che un vero nemico sotto il profilo scientifico. Anzi, ricordiamo sempre che secondo il noto principio della “Curva di Phillips“, la piena occupazione è in realtà raggiungibile solo aumentando l’inflazione. Peraltro oggi non vi sono spinte inflazionistiche quindi non vi è ragione di praticare austerità invece che politiche monetarie ed economiche espansive. Non ha senso preoccuparsi di un’inflazione che non esiste. Invece avrebbe senso occuparsi del problema opposto, la deflazione.
Chiaro che in deflazione serve maggior moneta nel sistema, anche per tornare a livelli occupazionali accettabili, in assenza dei quali ovviamente non è ipotizzabile alcuna spinta inflazionistica. Nonostante ciò, invece che immettere moneta (per tramite la spesa pubblica), ovvero abbassando le tasse, si continua ad imporre agli Stati l’austerità: si provoca rarefazione monetaria, maggiore deflazione e conseguente disoccupazione.
Quindi la soluzione della crisi è una sola, una politica che metta in discussione l’attuale Europa fatta da banche ed affaristi, un ritorno ad una politica nazionale e non comunitaria e soprattutto il ritorno ad una sovranità nazionale piena e senza sconti. 

di Luigi Cortese 

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Di Redazione Elzeviro.eu

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