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Le privatizzazioni: il “dramma” del Neo-Liberismo

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Condividiamo l?interessante punto di vista del movimento Un programma per l?Italia in tema di privatizzazioni

LE PRIVATIZZAZIONI: IL “DRAMMA” DEL NEO-LIBERISMO.

Sia negli USA che in Inghilterra, man mano che emergevano i nuovi orientamenti neo-liberisti, sono venute alla luce due “proposte” di politica economica, distinte ma allo stesso tempo intrecciate tra di loro: le privatizzazionie la “deregulation”. Tali misure tuttavia non vanno assolutamente confuse l’una con l’altra.
Possiamo definire “privatizzazioni” tutte quelle misure che tendono a ridurre il campo di azione delle attività controllate direttamente dallo Stato, in favore di un aumento delle attività controllate e/o condizionate dai privati.
Solitamente invece con il termine “deregulation” ci si riferisce alla riduzione dei compiti e delle ingerenze statali nell?economia, insomma una vera e propria battuta di arresto delle competenze statali in favore dello sviluppo della privata iniziativa, ma di deregulation parleremo in altra sede, ora ci soffermiamo sulle privatizzazioni.
Le privatizzazioni possono avvenire con interventi “ad hoc” da parte degli Stati oppure anche ad opera del comportamento dei consumatori, che reagendo alle inefficienze del mercato, determinano lo spostamento di alcuni servizi nelle mani dei privati; servizi che si sostituiscono a quelli fino ad allora gestiti in maniera completamente pubblica.
Le privatizzazioni potrebbero inoltre favorire un maggior sviluppo della partecipazione privata, in aziende che restano comunque sotto il controllo pubblico.
Le giustificazioni al modello neo-liberista e all?applicazione di deregulation e in particolare delle privatizzazioni, possono essere sia di natura ideologica che di natura pratica:

? problemi di natura fiscale
=> l’aumento dei compiti dello stato, tipici dei sistemi di orientamento keynesiano (forte intervento statale nei settori economici), ha determinato molto spesso un aumento smisurato della spesa pubblica quasi mai commisurato – anzi quasi sempre superiore – alle entrate fiscali. Tale modello “keynesiano” infatti è entrato in crisi a causa dell?insostenibilità della spesa pubblica. Procedere in tali casi alla privatizzazione di servizi pubblici e alla “deregulation”, può ridurre in maniera consistente la spesa pubblica, diminuendo il deficit, e in taluni casi può anche dare vita ad entrate straordinarie che possono ridurre il debito dello Stato;
? ricerca di maggiore efficienza
=> non è scritto da nessuna parte che le imprese pubbliche siano sempre inefficienti e viceversa, che quelle private siano sempre efficienti. Va tuttavia considerato che, in taluni casi, molte pubbliche imprese “potrebbero” far registrare performance di maggiore efficienza qualora passassero nelle mani dei privati.
? potere e libertà di scelta
=> in molti sostengono che ridurre la regolamentazione di un determinato settore comporti costi sociali di gran lunga inferiori – in valore assoluto – all?ammontare dei benefici. Tali convinzioni vengono giustificate da un lato attraverso la maggiore possibilità di scelta dei consumatori e dall’altro attraverso l’estensione della libera iniziativa.

Tuttavia il modello neo-liberista ha dato modo di verificare che in pochissimi casi si sono avuti benefici maggiori dei costi sociali, sia perché quasi mai alla privatizzazione segue una sostanziale riduzione delle tariffe e soprattutto perché in moltissimi casi di privatizzazione si è riuscito di fatto solo a passare da una situazione di monopolio pubblico ad una di monopolio privato, senza ottenere peraltro grossi vantaggi in termini di efficienza dei servizi. Bisogna inoltre evidenziare il fatto che i privati che intervengono nella gestione di servizi pubblici, cercando la piena remunerazione del capitale investito, tendono a non impiegare risorse nello sviluppo e nella manutenzione delle infrastrutture, a causa del costo del capitale stesso; tali infrastrutture in molti casi volgono quindi verso il degrado più totale.
Veniamo al problema più grave di questo modello neo-liberista: attraverso le giustificazioni di cui sopra, tale sistema ha di fatto partorito uno dei più grossi “mostri” di politica monetaria della storia contemporanea: la privatizzazione della gestione della moneta.
Attraverso la privatizzazione dell?emissione e della gestione della moneta (es. il caso della BCE che è un organismo privato) gli Stati membri hanno accettato la perdita della sovranità monetaria (fatta eccezione per le monete metalliche).

Mai più grave errore si poteva compiere: di fatto, l?unico risultato di tale privatizzazione è stata la perdita della libertà degli Stati attraverso la perdita della “leva monetaria”, nonché la formazione di una vera e propria concentrazione delle ricchezze nelle mani di “pochi privati”. Sicuramente non si è raggiunta alcuna efficienza nella gestione della moneta, ma in compenso gli stati membri hanno visto accrescere i propri debiti pubblici a dismisura, a causa di un sistema in cui, per utilizzare la propria moneta (“propria” solo grazie alla legge, che ne riconosce l?uso esclusivo all?interno dei confini statali) gli Stati devono pagare gliinteressi (ai valori richiesti dal mercato) a scadenza, come accade a ciascun consumatore quando effettua un acquisto a rate.
In sostanza, per usufruire della moneta uno Stato deve emettere titoli di debito in garanzia del prestito ottenuto, un prestito che peraltro non sarà mai possibile ripagare, visto che nel sistema non esistono materialmente i soldi per pagare gli interessi e la sommatoria di tutti i debiti esistenti è matematicamente inestinguibile.
Altro grosso limite strutturale del sistema neo-liberista è la quasi totale mancanza di concorrenza tra privati, nell?offerta di moneta (prestiti); in questo sistema infatti solo alcuni “grandi privati” riescono ad ottenere ingenti somme di denaro a condizioni di sicuro vantaggio (interessi minori) rispetto alla stragrande maggioranza di piccoli-medi imprenditori e cittadini (in alcuni casi anche degli stati).

Tale situazione provoca grandi concentrazioni e sbilanciamenti nell?accumulo delle risorse e delle proprietà; sbilanciamenti questi già forti a causa del fatto che, il sistema monetario a DEBITO (di per sé deflazionistico nel medio e lungo periodo) rastrella pian piano il denaro circolante dall?economia reale, per dirottarlo verso chi – di fatto – controlla la moneta o la acquisisce attraverso prestiti al tasso di interesse più basso. In sintesi l?attuale sistema monetario, figlio del neo-liberismo, dirotta le risorse dall?economia reale verso la finanza speculativa, e le piccole e medie imprese – prima o dopo – sono destinate, in media e con una probabilità più alta, al fallimento per mancanza di liquidità.

Non avendo pertanto avuto alcun miglioramento in termini di rapporto costi/benefici, di deficit e di debito accumulato da parte degli stati membri, cos?altro possiamo dire se non che questo sistema è giunto al suo capolinea ??

Roma, 3 Luglio 2012
F. Damiani e A. Bottiglione

Gruppo facebook “Un programma per l?Italia”.
https://www.facebook.com/groups/unprogrammaperlitalia/

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Di Redazione Elzeviro.eu

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