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Le premesse della crisi: i tassi bassi e la competitività della Germania

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L’euro è entrato ufficialmente in vigore il 1 gennaio 1999 come moneta virtuale, nei conti bancari e nei trasferimenti elettronici denominati in euro; tre anni dopo è stato fatto il concreto passaggio nel circolante: euro in tasca al posto di franchi, marchi, lire.
L’euro è diventato una delle principali valute internazionali: banconote in euro hanno iniziato a circolare in tutto il mondo, e il mercato delle obbligazioni in euro ha presto cominciato a competere con il mercato obbligazionario in dollari. La creazione dell’euro ha instillato un nuovo senso di fiducia, specialmente in quei paesi europei che venivano storicamente considerati come paesi a rischio per gli investimenti.
 
La politica monetaria della BCE è stata basata soprattutto sulle esigenze della Germania: la scarsità della domanda interna causata dalle politiche tedesche di moderazione fiscale e salariale richiedeva dei tassi di interesse abbastanza bassi, tali da non deprimerla ulteriormente. I tassi reali però risultavano assai bassi nei paesi periferici, caratterizzati da una inflazione strutturalmente sopra la media europea.
Questi paesi, che prima avevano tassi alti, furono presi dall’euforia dei prestiti. I flussi di capitale a buon mercato hanno così determinato un boom edilizio e un indebitamento delle famiglie in Spagna e Irlanda, e del settore pubblico in Grecia.
In Grecia è stato soprattutto il governo ad accendere grossi prestiti: durante gli anni di prestito facile, il governo conservatore greco ha fatto un sacco di debiti – più di quanto ammesso dal Patto di Stabilità. Quando il governo è cambiato, nel 2009, i trucchi contabili sono venuti alla luce, e improvvisamente è apparso che la Grecia aveva un deficit e un debito sostanzialmente molto più grandi di quanto non si pensasse, con una conseguente crisi di fiducia da parte degli investitori che hanno comiciato a pretendere rendimenti più alti per comprare titoli del debito greco, aggravando sempre più la situazione.
Ma la Grecia è in realtà un caso poco rappresentativo. Solo pochi anni fa la Spagna, di gran lunga la più grande delle economie in crisi, era un membro europeo modello, con un bilancio in pareggio e un debito pubblico in percentuale del PIL che arrivava era la metà di quello tedesco. Lo stesso vale per l’Irlanda.

E allora che cosa è accaduto?
 

Grazie ai tassi bassi, questi paesi hanno avuto un boom immobiliare: l’edilizia è un volano dell’economia e infatti questi paesi sono cresciuti, ma al tempo stesso crescevano anche salari nominali e prezzi. In Irlanda i prezzi delle case sono aumentati dal 1998 al 2007 del 180 per cento. Anche in Spagna i prezzi sono aumentati quasi altrettanto. La produttività in alcuni di questi paesi periferici è cresciuta più che in Germania, ma visto che i salari nominali crescevano più della produttività, tali paesi perdevano competitività rispetto alla Germania, dove la crescita dei salari nominali era invece inferiore alla crescita della produttività. La Germania e il suo entourage (Austria, Paesi Bassi ecc) ne hanno guadagnato in termini di esportazioni nette, anche per la crescita della domanda nei paesi periferici. Nel corso degli anni, i paesi periferici cumulavano così un forte debito estero.
Quando la bolla immobiliare è scoppiata e i prezzi delle case sono crollati al di sotto dei mutui, le famiglie sono diventate insolventi e le banche hanno accumulato perdite enormi. Per scongiurare una catena di fallimenti bancari sono intervenuti gli Stati, i cui debiti sono cresciuti repentinamente.
 
Inoltre, c’è stato un grande contraccolpo fiscale dovuto al crollo del settore immobiliare. L’occupazione complessiva è scesa, facendo aumentare le spese per i sussidi di disoccupazione, e contemporaneamente facendo crollare le entrate, perché il gettito fiscale dipende in larga misura dalle transazioni immobiliari.
Come risultato, la Spagna e l’Irlanda sono passate da avanzi di bilancio alla vigilia della crisi ad enormi deficit di bilancio nel 2009, con conseguente aumento dei rendimenti dei titoli pubblici e peggioramento della situazione.
 
La crisi economica e i grandi disavanzi e debiti pubblici hanno fatto sì che i creditori perdessero la fiducia nelle economie europee periferiche, e nella loro possibilità di ripagare il debito. Così, i rendimenti dei titoli dei paesi periferici sono via via aumentati, mostrando un 
differenziale con i rendimenti dei titoli tedeschi (“spread”) sempre più elevato. (Vedi tabelle sugli spread tra i bund tedeschi a 10 anni e i titoli corrispondenti dei PIIGS, aggiornate ad aprile 2011). Ciò significa che per assumersi il rischio di comprare i titoli di questi paesi, gli investitori pretendono dei rendimenti sempre più elevati, e che oramai non esiste più un tasso unico in Europa, nonostante che la moneta sia una sola

Una possibile soluzione? Riappropriarsi della sovranità monetaria. Per farlo bisogna votare in Europa alle incombenti elezioni un partito che proponga (perlomeno) il referendum su questi temi.

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Di Redazione Elzeviro.eu

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