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Migrante carbonizzato nella baraccopoli, ecco il vero volto dell’accoglienza

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La tragedia umana che ha colpito un gruppo di migranti residenti in una baraccopoli di Borgo Mezzanone, in provincia di Foggia, dovrebbe portare ad una profonda riflessione circa la politica di accoglienza e la sua reale applicazione al netto degli slogan.

Eppure pare che tale evento sia passato nell’ordinaria carrellata dedicata ai semplici fatti di cronaca. Proviamo ad analizzare l’episodio.

Due giorni fa un incendio è divampato nella baraccopoli

che è sorta nel tempo di fronte al Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Borgo Mezzanone. L’incendio sembra essere divampato a causa di allacci elettrici abusivi o da fuochi accesi dai migranti per riscaldarsi e cucinare. Il risultato è stato che la baraccopoli si è trasformata in cenere e uno dei suoi residenti è morto carbonizzato. Si tratta di un richiedente asilo dal Gambia.

Si apprende poi che tale ghetto completamente abusivo ospitava tutti quei migranti cui è stata rifiutata la domanda di protezione umanitaria dall’apposito centro a pochi passi. Sorvolando sulle incredibili inesattezze riportate dai mainstream, come la definizione di “cittadino straniero” che la Rai riserva al migrante morto, che cittadino non era, non possiamo che trarre dal tragico episodio una serie di spunti riflessivi, passati sotto silenzio dai media principali.

Il silenzio della Chiesa sull’episodio

Papa Francesco

In primo luogo stupisce constatare il silenzio sull’episodio da parte di papa Francesco, dopo che quest’ultimo ha utilizzato la ricorrenza della via Crucis per spronare i fedeli cattolici ad una maggiore accoglienza. Perché quindi il numero uno del Vaticano nasconde sotto al tappeto quello che succede ai migranti dopo che vengono accolti? Le morti nei campi di pomodoro e nelle baracche illegali non dovrebbero avere meno valore rispetto agli annegati nel Mediterraneo, pur essendo portatori di un messaggio che complica la narrazione dell’accoglienza.

Su questa disparità di trattamento delle tragedie si inserisce quindi il secondo spunto di riflessione. Uno Stato con le risorse sufficienti per garantire i servizi di base ai cittadini e allo stesso tempo offrire le migliori possibilità a chi scappa da guerra e fame, evitando simili tragedie, è un’entità in cui tutti sogneremo di vivere. Ora, come mai i sostenitori dell’accoglienza tout court sono gli stessi che considerano legittimi i vincoli di spesa imposti da Bruxelles, rimpiangono le politiche restrittive del Governo Monti e invocano maggiore rigore nella gestione dei conti pubblici? Quello che ci chiediamo è come si può conciliare l’idea di uno Stato al fianco degli ultimi tra gli ultimi, se poi quello stesso Stato viene visto come istituzione obsoleta da cancellare per evitare sprechi di risorse pubbliche?

La verità è che per la narrazione degli ultràs della globalizzazione la tragedia del foggiano non rappresenta altro che un danno collaterale, un incidente di percorso che disturba per pochi secondi uno scenario onirico dove è diventato possibile andare da Milano a Barcellona con 12 euro, sedersi da Starbucks a Katmandu e speculare sulla moneta di uno sconosciuto Paese africano per poi rifugiare i propri guadagni in un paradiso fiscale europeo.

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Di Gabriele Tebaldi

Classe 1990, giornalista pubblicista, collabora con Elzeviro dal 2011, quando la testata ha preso la conformazione attuale. Laurea e master in ambito di scienze politiche e internazionali. Ha vissuto in Palestina, Costa d'Avorio, Tanzania e Tunisia.

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