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La Siria e la guerra della disinformazione

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Arbitraria selezione delle fonti e comunicazioni ad intermittenza sono le armi per fornire una narrazione parziale e fittizia. Come nel caso di Ghouta.

Negli ultimi tempi è stato spesso sottolineato come uno dei fenomeni più allarmanti a livello globale sia rappresentato dalla mutazione genetica dei media, i quali hanno ormai abbandonato la loro primigenia funzione divulgativa, per diventare a pieno titolo uno strumento di propaganda.
Un’evoluzione strutturale, nonché un’involuzione professionale, spronata da quell’aristocrazia industriale e finanziaria vicina alle forze politiche tradizionali, messe sempre più sotto pressione dal malcontento popolare (come evidenziato anche dalle recenti elezioni italiane).

In sintesi, una narrazione univoca, parziale ed artefatta, è uno dei pochi anticorpi con cui l’ordine costituito sta tentando di preservare se stesso dai violenti venti del cambiamento. Si tratta di un mezzo che parte dall’accurata selezione delle opinioni e delle analisi consentite ed arriva fino all’emarginazione dei personaggi dissidenti, attraverso l’ormai celebre scure delle fake news a senso unico.

La narrazione del conflitto siriano

Ebbene, queste operazioni stanno conducendo verso una pericolosissima omologazione culturale ed informativa, evidenziata in particolar modo dalla narrazione del conflitto siriano.
Sin dall’inizio della guerra che sta mettendo in ginocchio la culla della civiltà mediorientale, la linea editoriale dei principali organi d’informazione è stata esclusivamente diretta alla demonizzazione del presidente Bashar al-Assad, del suo esercito regolare e dei suoi alleati invisi alla comunità internazionale (Russia e Iran). Una crociata mediatica in piena regola, messa in atto attraverso il dispiego di due armi in particolare: l’arbitraria selezione delle fonti ed i silenzi tattici.

Le uniche fonti ammesse: quelle antigovernative

Nel primo caso, fa specie come i principali rifornitori di notizie dai quali i media occidentali attingono sin dagli albori del conflitto, rispondano al nome dell’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani e dei White Helmets. Da una parte, un’organizzazione composta da un singolo individuo (residente a Londra a spese di Sua Maestà britannica) che non mette piede in Siria da 17 anni e dall’altra, una ONG con sede in Turchia, fondata da un ex membro dei servizi segreti inglesi e foraggiata con fondi americani.

Dov’è finito il pluralismo nell’informazione?

Un filtro di notizie proveniente da fonti esclusivamente antigovernative insomma, in barba al principio della corretta informazione fondata sul pluralismo. Un filtro che risulta ancor più capzioso se si considerano alcune omissioni dal retrogusto a dir poco strumentale.
Nessuna delle testate più autorevoli ha avuto lo stesso zelo e la stessa prontezza nel riportare le dichiarazioni con le quali il Segretario della Difesa USA James “mad dog” Mattis, ha ammesso di non avere prove circa l’utilizzo del sarin da parte dell’esercito lealista.

Così come è passata completamente sotto traccia la confessione di un altro segreto di pulcinella. Il giornalista ed attivista “ribelle” Alaa Al-Ahmad ha infatti confermato la presenza di tre organizzazioni jihadiste salafite (tra cui Ahrar al-Sham, ossia l’ex Al-Nusra, ramo siriano di Al Qaeda) nella Ghouta Orientale, che tengono in ostaggio la popolazione civile. Nello specifico, le stesse che hanno bombardato ripetutamente Damasco a suon di colpi di mortaio negli ultimi 5 anni.

Frastuono mediatico a corrente alternata

E´ proprio in riferimento agli ultimi sviluppi avvenuti nella periferia orientale della capitale che si materializza la seconda arma più in voga nella sporca guerra della disinformazione.
Dopo settimane di frastuono mediatico sui presunti crimini di Assad nei confronti dei ribelli, è improvvisamente calato un assordante silenzio sulla cronaca estera nostrana.

Gentile concessione per cedere il monopolio dei riflettori alla tornata elettorale? In minima parte probabilmente sì, ma non solo. Questa misteriosa perdita di contatti con il fronte siriano infatti, coincide con l’impetuoso avanzamento dell’esercito regolare che, coadiuvato dall’aviazione russa, sembra aver liberato metà della sacca di resistenza ed essere giunto alle porte di Duma.

Pratiche oltraggiose, ma ormai di prassi

Un protocollo non dissimile da quello osservato durante la liberazione di Aleppo e consistente nella chiusura delle comunicazioni in occasione dei successi del legittimo presidente siriano. Forse per non deludere le aspettative dei lettori, ormai abituati ad una narrazione a senso unico, con protagonisti ed antagonisti ben definiti. Una narrazione brutale e disumana, esattamente come la guerra che viene raccontata. O che dovrebbe essere raccontata.

Filippo Klement

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