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La prof. sospesa per Anna Frank e il diverso peso delle fake news

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La storia che ha sollevato l’indignazione dei nostri media più autorevoli si è rivelata essere una colossale dabbenaggine. A riprova della matrice pretestuosa della crociata contro le fake news e del diverso peso conferito alle bufale a seconda della loro provenienza.

 

Sono innumerevoli gli argomenti che ciclicamente, alla vigilia di ogni campagna elettorale, si ripresentano con la stessa consuetudinaria puntualità con cui a Natale emergono le ghirlande e a Pasqua saltano fuori le uova. Ad esempio, le indagini preliminari sui reati amministrativi dei politici, il serpeggiante ritorno del fascismo, oppure gli scandali sessuali. Al contrario degli addobbi e alle decorazioni festive però, questi eventi non hanno l’innocente scopo di addolcire una ricorrenza, bensì quello ben più subdolo di creare un diversivo rispetto alle tematiche più delicate e di più difficile lettura di fronte all’elettorato.

Alle tematiche appena elencate si è aggiunta da qualche anno anche una forma più contemporanea di distrazione, la quale risponde al nome di “pericolo fake news”. Non che le bufale non esistessero precedentemente e non che si rifiutino di palesarsi anche in altri periodi dell’anno, ma a partire dalle elezioni americane del 2016 la minaccia percepita dai media pare essersi allargata a macchia d’olio. Specialmente in odore di urne.

 

Avaaz e i media “qualificati”

Un esempio paradigmatico è stato offerto da una delle polemiche più eclatanti di questo avvicinamento alle europee del 26 Maggio: la chiusura da parte di Facebook di ben 23 pagine, sospettate di essere untrici di disinformazione. Un caso che ha fatto storcere più di qualche naso, non tanto per l’attività di censura (malgrado i parametri di giudizio continuino a restare un mistero), quanto per via del mittente della segnalazione. Per questo tipo di attività infatti, il social network di Zuckerberg si è avvalso della consulenza della ONG Avaaz, finanziata dal sempreverde George Soros.

Cionondimeno la criticità più preoccupante di questo meccanismo, ben più dei timori (talvolta fondati, talaltra meri prodotti di complottismo patologico) per le orditure del magnate ungherese, riguarda un altro aspetto. Per la precisione, il fatto che i media tradizionali, in un periodo di crescente sfiducia verso di loro e verso le idee liberal di cui sono sostenitori, abbiano rivisitato un fatto vecchio come il mondo – quello delle bufale – presentandolo come fenomeno unilaterale. Un ottimo escamotage autoreferenziale per screditare a priori tutta l’emergente filiera della controinformazione, unica fonte di distorsione della realtà, contrapposta alle testate “qualificate”.

 

Le bufale dei professionisti autorevoli

Il vicedirettore del corsera (e membro della task force europea contro le fake news) Federico Fubini

Ebbene le fake news non sono a senso unico; come dimostrato dalle panzane dei nostri limpidi media sugli attacchi chimici delle truppe lealiste in Siria, dalla narrazione del Russiagate, da quella del caso Skripal, o dalle confessioni di Federico Fubini. E per finire anche dalla recente smentita di una polemica che stava per avvelenare ulteriormente i dibattiti attorno alla libertà di espressione e allo spettro di un crescente oscurantismo.

La notizia della professoressa catanese che, a detta della maggior parte dei nostri sempre zelanti scudieri della verità, sarebbe stata sospesa per aver letto il Diario Anna Frank ai suoi alunni, si è rivelata essere una colossale frottola. Il motivo dell’addebito disciplinare infatti, sarebbe un presunto scappellotto elargito dall’insegnante ai danni del suo alunno, il quale ha dato luogo ad un conseguente e ferreo protocollo di indagini interne, per accertare la veridicità delle accuse mosse dal genitore dello studente. Indagini documentate da un carteggio, in cui, nella parte relativa alla testimonianza della madre, si fa breve riferimento anche ad una generica accusa di indottrinamento “comunista”.

 

I motivi del provvedimento

Il nome scottante della giovane deportata olandese, al contrario di quanto è stato farneticato, emerge soltanto nelle memorie difensive dell’insegnante ed in circostanze completamente diverse. Come riporta anche Il Sole 24 Ore

si fa riferimento a una discussione avvenuta, non con la mamma, ma con la dirigente scolastica, sull’opportunità di leggere il diario

e nel provvedimento finale che delibera la sospensione

“in riferimento alla cronaca di avvenimenti funesti della storia, fa un accenno al pericolo di emulazione e ricorda la titolarità dell’insegnante sulla scelta dei tempi con cui introdurre certi argomenti”.

Per sintetizzare, il provvedimento finale ritiene “sufficientemente provato” il comportamento manesco da parte della donna e non si fonda minimamente sulla contestazione di plagio, rispetto alla quale la maestra, viceversa, emerge come pienamente assolta da parte della sua superiore. Una rettifica che non ha goduto certo della stessa visibilità conferita alla chiusura delle 23 pagine (per lo più di estrazione populista e sovranista) di Facebook.

 

La disparità di mezzi

Come anticipato precedentemente dunque, l’inasprimento del dibattito sulle fake news nasce dalla necessità di alcuni organi d’informazione di limitare l’attendibilità di altri organi d’informazione; ed è perciò ascrivibile ad una strategia di tipo concorrenziale. Una strategia senz’altro vincente, in ragione di alcuni elementi che sanciscono una abnorme ed incolmabile disparità di mezzi: nomea delle testate, egemonia culturale nei salotti televisivi e nelle università, oltreché scarsa digitalizzazione diffusa.

Per tutti questi motivi, sorge obbligatoriamente uno spunto di riflessione. Posto che Facebook sia un’impresa privata e che pertanto, in punta di diritto, abbia la facoltà di silenziare e dare risalto a chi preferisce, chi si dovrebbe scomodare per fare in modo che le balle spaziali propalate dalle testate più autorevoli – così come da quelle minori, ci mancherebbe – non restino completamente impunite, venendo adeguatamente sanzionate? Chi si dovrebbe scomodare per fare in modo che la summenzionata disparità di mezzi non renda una bufala meno grave e più nociva di altre? La risposta è elementare, ma l’ordine professionale più volte sollecitato sull’argomento sembra perseverare nel suo sonno letargico.

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Di Filippo Klement

Classe 1990, ha studiato giurisprudenza, a latere un vasto interesse per la storia contemporanea e la politica.

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