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La Francia sfrutta eccome le sue colonie d’Africa

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Occorre infatti ancora chiamarle così (purtroppo): colonie francesi in Africa. 

Le recenti dichiarazioni contro la Francia di Luigi Di Maio, Alessandro di Battista e Giorgia Meloni hanno scatenato un polverone mediatico, condito da goffissimi, e squallidi, tentativi di difendere le vomitevoli pratiche neocoloniali francesi. Il polverone è stato poi anche diplomatico con la convocazione a Parigi dell’Ambasciatrice italiana Teresa Castaldo.

Secondo Cottarelli il Franco CFA è frutto di una libera scelta

Le dichiarazioni dei diversi esponenti politici sulla Francia e sul franco CFA stupiscono al massimo per la loro estemporaneità e per un sostanziale ritardo nella divulgazione di storie e pratiche da tempo presenti e conosciute. Che la Francia sfrutti ancora le (ex) colonie in Africa è la più classica scoperta dell’acqua calda.

Stupisce invece, con orrore, come parte dell’opposizione, mediatica e poi politica, abbia intrapreso la strada di un negazionismo talmente sfacciato da arrivare a pronunciare frasi del tipo

“gli Stati africani che hanno il franco CFA possono uscirne liberamente quando vogliono”.

Concetto condiviso sia da Carlo Cottarelli (già Primo Ministro incaricato) che da Luigi Marattin (PD), il cui messaggio è stato rilanciato da Repubblica, da Il Sole 24 ore e da altre testate che hanno deciso di rimettere in scena la sottomissione italiana alla Gallia Cisalpina di napoleonica memoria.

Moneta, militari e colpi di Stato, ecco come la Francia controlla la sua Africa

Chiariamo un concetto: gli Stati africani possono uscire da questo sistema monetario come e quando vogliono esattamente come se venissero aperte le porte di un carcere e si invitassero gli internati a correre verso la libertà, ma allo stesso tempo fosse addestrato il più micidiale squadrone di cecchini pronto a colpire i fuggitivi.

La recente visita di Macron in Mali, per riaffermare il dispiegamento di forze militari francesi nel Paese.

Il negazionismo è arrivato però ad un livello successivo, perché non solo nega un rapporto di forza completamente squilibrato, ma omette apertamente tutto quel corollario di azioni piratesche di cui il Franco CFA rappresenta solo la punta di un iceberg. Nei 13 Stati africani coinvolti (Gabon, Repubblica del Congo, Repubblica Centrafricana, Ciad, Costa d’Avorio, Benin, Burkina Faso, Niger, Senegal, Mali, Camerun, Gibuti, Togo)  viene sì usata la cosiddetta “moneta coloniale”, ma oltre a questo aspetto si deve aggiungere nel’ordine:

  1. L’ingombrante intraprendenza di aziende transalpine pronte a monopolizzare le principali risorse del Paese;
  2. Una visibile presenza militare francese;
  3. Una più sottile interferenza negli stessi affari politici (colpi di Stato ad hoc per rovesciare eventuali dissidenti).

Il caso della Costa D’Avorio

Tra questi Stati prendiamo un esempio: la Costa D’Avorio. Motore di sviluppo dell’Africa occidentale degli anni ’80, questo Paese è entrato in una fase di stallo, divenuta poi recessione, dopo il crollo del Muro di Berlino e la fine di quell’equilibrio bipolare che, nel bene e nel male, aveva garantito una pur sottile autonomia di sviluppo alle ex colonie africane.

Dimostrazioni di solidarietà verso Laurent Gbagbo

La svolta per questo Paese era arrivata però nel 2000 quando Laurent Gbagbo venne eletto Presidente. Indipendentista fino al midollo, Gbagbo suscitò subito le antipatie francesi a causa delle sue aperte dichiarazioni volte ad attaccare il sistema di controllo transalpino esercitato sulla Costa D’Avorio. Nel settembre 2002 venne così organizzato il primo colpo di Stato per rovesciare il legittimo Presidente. Un fallimento clamoroso che portò il Paese in una sanguinosa guerra civile durata pressoché sino al 2011.

Come testimoniato da numerosi giornalisti, anche francesi, in loco, pare che i cosiddetti “ribelli” altro non fossero che mercenari al soldo di Parigi, penetrati nel Paese grazie anche all’arrivo dei peacekeepers, anch’essi francesi, nell’ambito dell’operazione sotto mandato Onu.

Bombe e un Presidente “amico” per far rientrare il Paese nei ranghi

Dopo l’esito, tuttora non chiaro, delle elezioni ivoriane del 2010, ecco che scatta una nuova ondata di violenze nel Paese, culminata con il bombardamento delle forze speciali francesi intervenute contro le forze leali a Gbagbo. Come si è conclusa la vicenda: Gbagbo è stato processato dalla Corte Penale Internazionale che, solo qualche giorno fa, lo ha riconosciuto innocente rispetto alle accuse (crimini di guerra e quant’altro).

Nel frattempo però Alassane Ouattara, ex uomo del Fondo Monetario internazionale, è diventato Presidente della Costa D’Avorio, con il plauso di Parigi. Occorre aggiungere poi che gli indicatori economici del Paese sono crollati, non già solo per la presenza di un Franco CFA troppo forte per favorire le esportazioni ivoriane (la Costa D’Avorio è il primo produttore al mondo di anacardi), ma anche a causa di queste pesanti ingerenze francesi che hanno più o meno indirettamente causato una sanguinosa guerra civile.

In foto si può notare Vincent Bolloré, proprietario dell’omonima multinazionale francese ben presente in Costa D’Avorio, insieme alla famiglia del Presidente Alassane Ouattara, amico di Parigi.

 

Cottarelli, Marattin insieme a tutta la schiera di giornalisti che ha tessuto le lodi della politica francese in Africa, possono ora tornare ad occuparsi di inutili numeri e grafici, che allo studio della storia è meglio se ci pensa qualcun altro.

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Di Gabriele Tebaldi

Classe 1990, giornalista pubblicista, collabora con Elzeviro dal 2011, quando la testata ha preso la conformazione attuale. Laurea e master in ambito di scienze politiche e internazionali. Ha vissuto in Palestina, Costa d'Avorio, Tanzania e Tunisia.

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