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La foto del bendaggio? Solo l’ennesimo lasciapassare offerto ad un criminale americano

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Lo scatto dello yankee reo confesso ha innescato lo spiccato garantismo dei giuristi italiani. Il problema ben più grave però, è che grazie a questo assist un americano potrà nuovamente eludere la nostra giustizia: come testimonia una lunghissima lista di precedenti.

Ad esser complottisti si fa peccato, ma ogni tanto ci si può anche azzeccare. Se poi le astruse teorie cospirazioniste riguardano i – provvidenziali – colpi di fortuna di cui finiscono sempre per beneficiare gli americani che si macchiano di crimini nel nostro paese, beh, la faccenda cambia notevolmente i suoi connotati.

Nutrire sospetti su infiltrazioni, depistaggi, intralci nelle indagini e ritenere che questo tipo di intoppi sia figlio di pressioni esercitate da corpi diplomatici o servizi segreti, è più che comprensibile. Anzi, quando c’è di mezzo un indagato  a stelle e strisce (con gravi indizi di colpevolezza a suo carico, o addirittura reo confesso) non si tratta nemmeno più di dietrologia. Stando ai riscontri dei numerosi ed infausti precedenti, si potrebbe persino parlare di mera applicazione del rasoio di Occam: delle possibili spiegazioni di un evento la più semplice è la soluzione migliore.

Il precedente più sanguinoso: la strage del Cermis

La carcassa della funivia del Cermis

La soluzione più semplice in questi casi è quella del “fattore yankee”. Ovvero, la tempestiva manifestazione di un salvacondotto, un lasciapassare, una carta esci gratis di prigione (insomma, chiamatelo come vi pare), idonei a porre in essere una consuetudine ormai tristemente acclarata: la totale immunità dei colonizzatori sul suolo coloniale.

E’ stato così per i piloti del jet militare che nel ’98, al fine di riprendere meglio il panorama durante un’esercitazione, violarono platealmente la quota minima consentita, lacerando i cavi della funivia del Cermis e condannando a morte sia i 19 passeggeri che il conducente del mezzo. Malgrado l’opinione contraria dei pm, il gip ritenne che secondo le convenzioni internazionali sullo status dei militari NATO, la giurisdizione spettasse al paese d’origine dei Marines. Il risultato? Un sereno ritorno in patria, una piena assoluzione per le accuse di omicidio colposo ed una successiva confessione del navigatore, che ammise di aver distrutto il nastro registrato in volo al momento del suo ritorno alla base.

Nicola Calipari, Abu Omar e gli stupri dei marines

Uno scatto dell’Imam durante un pedinamento della CIA

Ma non finisce qui. Mario Lozano, il militare americano che aprì il fuoco sulla vettura di Nicola Calipari (durante le concitate fasi successive alla liberazioni di Giuliana Sgrena in Iraq), in virtù dello stesso – presunto – difetto di giurisdizione, venne graziato dalla Corte d’Assise di Roma. Epilogo irrilevante peraltro, data la sua irreperibilità e la copertura garantitagli dal governo americano.

Di grazia autentica e non metaforica invece, beneficiarono i funzionari della CIA coinvolti nel clamoroso rapimento di Abu Omar e poi condannati in via definitiva dal Tribunale di Milano. Agli agenti segreti a stelle e strisce venne concesso il suddetto provvedimento (inizialmente per opera di Napolitano, e successivamente per mano di Mattarella) dietro espressa richiesta dell’ex presidente Obama e tutto si risolse nella consueta nuvola di fumo. Quella medesima nuvola di fumo nella quale finiscono per dissolversi i soldati statunitensi accusati di reati comuni (percosse, aggressione, violenza sessuale) ai margini delle basi americane in Italia: circa il 90% viene prontamente rimpatriato, senza che lo Stato riceva più notizie sui relativi sviluppi giudiziari.

Il probabile epilogo

Insomma, pur senza scomodare il clamoroso ribaltone processuale che coinvolse Amanda Knox, la lista è sufficientemente chilometrica da non lasciare molte speranze anche per il caso più recente. Un caso che, già di per sé, presenta delle dinamiche piuttosto dubbie. Possibile che all’interno di quella categoria così solidale e morbosamente iperprotettiva che è l’Arma, si verifichi una leggerezza elementare come la diffusione di quella foto?

Quello scatto infatti, sempre facendo tesoro dei precedenti di cui sopra, potrebbe vanificare qualsiasi tentativo di ottenere giustizia per la morte del compianto collega. Il copione che si profila, del resto, è abbastanza prevedibile: si farà leva sull’inattendibilità della confessione, asserendo che la foto evidenzia una situazione di costrizione ed una dichiarazione estorta con la forza. Il tutto per giungere, dulcis in fundo, ad un’estradizione concessa al fine di scongiurare l’incidente diplomatico con il paese che – alla faccia delle corbellerie de L’Espresso sul rubligate – continua ad orientare le sorti di questo paese.

L’inconsistenza culturale dei nostri giuristi

Quello che però lascia ancora più basiti dell’inderogabile servilismo verso Mamma America, è l’inconsistenza culturale dei nostri giuristi. A furia di ostentare la competenza tecnica quale unica virtù della società contemporanea, stiamo volgendo ad una situazione di specializzazione così radicale da non saper più leggere i fenomeni sociali ed internazionali che ci circondano. Detto in altre parole, alla specializzazione estrema, fa da contraltare una preoccupante assenza di cultura generale.

Così come svariati economisti si sono ormai trasformati in freddi matematici (vedere le discussioni sul rispetto dell’anacronistico parametro del 3%), allo stesso modo gli esperti del diritto non possiedono più alcuna nozione di sociologia o geopolitica. Eppure, si tratta di due campi che imporrebbero la formazione di professionisti eclettici, capaci di analizzare gli eventi storici ed attuali, per poter comprendere al meglio criticità ed evoluzioni dei loro settori. Aver assistito ad una pletora di prìncipi del foro stracciarsi le vesti per la mancata tutela della dignità dell’indagato, senza soffermarsi minimamente sulla probabile conseguenza di quella foto, è miserevole.

Un’ignoranza plateale ( in questo caso storica) che porta a fissare il dito, ignorando la luna; se il sistema giudiziario dovesse perdere la sua credibilità, non sarà certo per via di un trattamento indegno durante l’interrogatorio, bensì per l’ennesimo atto di sabotaggio della nostra sovranità da parte dei burattinai di sempre. Incredibile che lo si debba ricordare a chi, per mestiere, dovrebbe avere principalmente a cuore il regolare corso della giustizia.

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Di Filippo Klement

Classe 1990, ha studiato giurisprudenza, a latere un vasto interesse per la storia contemporanea e la politica.

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