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“Fate sbarcare i migranti della Sea Watch”, arriva il pizzino dell’Onu all’Italia

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La nave della ONG Sea Watch continua a stazionare al largo delle coste di Lampedusa con una quarantina di migranti a bordo, senza che la situazione si sblocchi di un millimetro.

Da una parte c’è un Ministro degli Interni, Matteo Salvini, che nega alla nave l’attracco al porto italiano, facendo valere quanto contenuto nel decreto sicurezza bis, diventato legge la scorsa settimana. Dall’altra c’è l’equipaggio e i membri della ONG Sea Watch che lamentano “condizioni disumane” in cui versano i migranti da loro ospitati e accusano il Governo italiano di mancato rispetto della legge del mare.

Nella vicenda sono ora intervenute anche le Nazioni Unite

che per bocca del portavoce dell’Unhcr (l’Agenzia Onu per i rifugiati) invitano l’esecutivo italiano ad aprire il porto di Lampedusa.

L’Italia ha la responsabilità di far sbarcare queste persone. Nessuno dovrebbe tornare in LibiaQuesti disperati devono essere sbarcati, è un obbligo sancito dalle norme internazionali.

Si è cosi espresso il portavoce Onu. L’impasse in cui sembra essere entrata questa vicenda non può che portarci ad una profonda riflessione ad un anno dall’insediamento del Governo gialloverde e dal debutto della strategia dei cosiddetti “porti chiusi”.

Più di 365 giorni dopo, il comportamento delle ONG nel Mediterraneo pare non essere cambiato di una virgola. Queste navi private, che spesso battono bandiera non italiana, continuano infatti ad intraprendere salvataggi a poche miglia dalle coste libiche evitando il più delle volte il coordinamento con le autorità di Tripoli. Anzi, le poche volte in cui i libici sono chiamati in causa vengono puntualmente inondati di insulti attraverso gli account social delle suddette ONG.

Un atteggiamento di scontro che sicuramente non favorisce la già difficile collaborazione con la Libia, in un momento particolarmente delicato nella definizione dei suoi rapporti di forza interni.

Un anno dopo l’insediamento di Salvini al Viminale

non è ancora stato chiarificato il concetto di “porto sicuro”. Abbiamo già scritto in questo giornale come, pur escludendo il porto di Tripoli, esistano ben tre punti di approdo in quella zona del Mediterraneo assimilabili alla definizione di “porto sicuro”: la Tunisia, Malta e l’Italia. Nonostante questo le navi ONG puntano sistematicamente la loro rotta verso le coste italiane, quasi a voler a tutti i costi cercare un braccio di ferro con il Governo di Roma. Un atteggiamento quantomeno sospetto.

La nave Juventa posta sotto sequestro dalle autorità italiane.

Sempre ad un anno dall’insediamento del nuovo esecutivo italiano ancora non si è fatta chiarezza sui presunti contatti tra alcune ONG e i trafficanti di esseri umani. Le inchieste sono tutt’altro che archiviate e in particolare continuano le indagini sulla ONG tedesca Jugend Rettet e la sua nave Juventa. Infine, come dimostrato dall’intervento a gamba tesa dell’Onu di oggi, il Governo di Roma è più che mai vulnerabile di fronte ad attacchi da parte di organismi sovranazionali.

Si può ravvisare in questo caso, cosi come nei precedenti, un certo doppiopesismo dell’intervento dell’Unhcr nei confronti dell’Italia, se si considera d’altra parte il silenzio della stessa Agenzia Onu ogniqualvolta la Valletta ha chiuso le comunicazioni con l’Italia per il coordinamento di salvataggi in mare.

Unhcr che non si è poi mai espressa

sul deprecabile comportamento della polizia di confine francese, oppure sui respingimenti via aereo fatti dalle autorità tedesche, come emerso da una recente inchiesta di Repubblica. Insomma, nel Mediterraneo, al netto degli slogan umanitari, si sta consumando una battaglia politica del tutto simile, e forse collegata, a quella in atto nelle stanze di Bruxelles.

Sembra quasi che l’avvio o meno della procedura d’infrazione possa essere in qualche modo subordinato al comportamento di Roma nei confronti dei migranti in arrivo dalla Libia. Non è un caso infatti che i due massimi momenti di tensione, sui due dossier, giungano in perfetta sincronia e concomitanza. L’Italia pare essere letteralmente circondata dalla pressione di attori esterni e il suo Governo sembra troppo facilmente ricattabile.

 

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Di Gabriele Tebaldi

Classe 1990, giornalista pubblicista, collabora con Elzeviro dal 2011, quando la testata ha preso la conformazione attuale. Laurea e master in ambito di scienze politiche e internazionali. Ha vissuto in Palestina, Costa d'Avorio, Tanzania e Tunisia.

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