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I “profughi” venezuelani vogliono tornare a casa

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Ebbene sì. Chi lo avrebbe detto?

Migliaia, decine di migliaia di venezuelani più o meno ricchi, che nei mesi passati sbatterono la porta ed abbandonarono il Venezuela gridando “al dittatore”, seguiti da stuoli di microfoni e telecamere, adesso cercano in tutti i modi di tornare in patria sotto la protezione dei programmi sociali del chavismo e fuggono da paesi nei quali curarsi dal coronavirus costerebbe cifre irraggiungibili.

Stavolta però non è come quando lasciarono il Venezuela, ora “nessuno se li fila”.

Nessun microfono ad intervistarli, nessuna telecamera accesa. Sparita Amnesty International, che un anno fa li contava al confine sia all’andata che al ritorno per triplicarne il numero come nel film di Benigni: “un fiorino”!
Nessuna agenzia dell’Onu o della Croce Rossa a parlare di “migrazione biblica”.

Angelina Jolie, il mega concerto di mr. Branson, Madonna, Ricky Martin, Eros Ramazzotti, Paolo Maldini e la moglie, Rincon, la modella delle Iene, Casini, Mogherini, Tajani, Almagro, Trump, tutti non pervenuti.

Eppure sono gli stessi venezuelani con le stesse valigie di cartone che al viaggio d’andata tanti cuori teneri avevano commosso.

Perché adesso sono costretti a farsi i video-selfie in lacrime col cellulare scarico e senza credito e nessun media li lancia sulle prime pagine?

Semplice, perché bisognerebbe raccontare la verità.

Bisognerebbe dire che in 800 da Miami (tutti benestanti), dopo che Trump gli ha bloccato il volo di ritorno, hanno chiesto a mani giunte ed ottenuto da Maduro di tornare in Venezuela gratis.

Perché vogliono tornare? Facile. Negli Stati Uniti, senza assicurazione sanitaria, l’ospedale nemmeno vuole sapere come ti chiami e col coronavirus alle porte la possibilità di finire in ospedale è grande.

Stesse scene da Madrid, in Spagna.
Oltre 350 venezuelani in una video intervista di una gentile ragazza, chiedono a Maduro di “andarli a salvare” poiché non ci sono più voli in uscita dalla Spagna.

E loro non hanno i soldi per pagarsi vitto ed alloggio in un paese che tra pochi giorni, purtroppo, diventerà il primo in Europa come numero di contagiati superando l’Italia.

Scene simili da Lima in Perù, dove un folto gruppo di donne venezuelane, dopo essere state sfrattate dalle case dove vivevano ed aver perso il lavoro per la pandemia, si sono accampate da 15 giorni davanti all’Ambasciata venezuelana.

Esse fanno appello a Maduro “a mettersi una mano sul cuore e ad inviargli un volo umanitario che le riporti in patria”, ovviamente tutto a carico del popolo venezuelano e del governo Maduro.

Per non parlare delle migliaia di venezuelani che, a piedi, attraversano i sentieri boschivi ed i rios colombiani del Norte de Santander o che sono partiti a piedi da Bogotà, per ritornare a casa.

Giunti in Venezuela, alla frontiera, trovano le autorità venezuelane che con i pullman li riportano gratis fino alla porta di casa nelle varie regioni del paese.

Un vero e proprio tsunami di venezuelani poi, sta tornando dall’Ecuador.

Da lì, immagini da girone dantesco hanno fatto il giro del mondo mostrando morti abbandonati nelle strade.

Lo riferisce Freddie Bernal che entro 5 giorni prevede di ricevere la prima ondata alla frontiera venezuelana con la Colombia.

Storie provenienti da regioni geografiche diverse ma motivazioni simili.

Il “paradiso neoliberale” fatto di stipendi da 1.000 dollari al mese e negozi luccicanti è bello quando lo vedi in tv e te lo raccontano su Whatsapp.

Diverso è quando poi lo raggiungi succede come la favola di Cenerentola dopo mezzanotte.

Lo stipendio passa dai 1000 dollari immaginari ai 300 reali.

Le bollette e l’affitto, che in Venezuela sono pressoché gratis, all’estero consumano tutto il salario (spesso in nero). E i negozi luccicanti spesso si finisce per guardarli da fuori.

Una situazione di miseria spesso nascosta nei messaggi alle famiglie rimaste in Venezuela, alle quali si inviano i selfie con le scarpe Nike nuove o coi panini di McDonald.

Ma succede che se poi arriva l’epidemia di coronavirus e ci si trova in un paese senza tutele e senza diritti, le Nike e McDonald non bastano.

In pochi giorni si finisce sul marciapiede senza lavoro e col terrore di cominciare a tossire a causa della malattia, incubo in cui tutte le porte sanitare sono chiuse.

Meglio allora tornare a casa a succhiare latte dalla tetta del socialismo tanto criticato.

Quel Maduro che un anno fa era denigrato e offeso, adesso ci si accorge che è l’unica mano amica.

Una mano governativa che offre gratuitamente casa, assistenza medica e sussidi, nonostante un criminale embargo che danneggia il paese.

Il tutto nel totale silenzio dei mezzi di informazione, sinceri solo nelle previsioni del tempo.

Da Rete Solidarietà Rivoluzione Bolivariana

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