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Chi è la redattrice del Global Compact?

Soros premiato dalla (sua) università. Budapest, 2010.

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Louise Arbour, l’artefice del discusso trattato, vanta un passato di stretta collaborazione con George Soros. Uno che non si limita certo ad osservare con disinteresse il dibattito migratorio.

Tra gli innumerevoli inganni di cui la narrazione dominante si è resa responsabile negli ultimi decenni, ce n’è uno che emerge per costanza e reiterazione. Si tratta di un’illusione molto ben congeniata, con la quale i principali organi d’informazione hanno provveduto a convincere (con discreto successo) una larga fetta della popolazione circa l’esistenza di orientamenti e personaggi immacolati.

Il riferimento

va in particolar modo all’universo europeista in campo geopolitico, a quello liberista in campo economico ed a quello no-borders per ciò che concerne il dibattito sui flussi migratori; ad essersi diffusa, non è solo la teoria che chiunque sposi una delle suddette correnti  lo faccia esclusivamente per una profonda devozione alla causa, ma anche la convinzione che questi soggetti siano dotati di una sensibilità etica ed empatica di caratura superiore, rendendoli meritevoli di una pressochè totale immunità da giudizi critici. Un affresco tanto ipocrita, quanto risibile.

Basta infatti scavare nel passato personale di ciascun personaggio, per mettere a nudo la natura claudicante di questo racconto e dimostrare come non siano tutti benefattori disinteressati. Non lo è l’attuale classe dirigente europea, irrigiditasi con l’Italia per sferrare una controffensiva elettorale in vista delle europee di Maggio (bivio della propria sopravvivenza politica), più che per rigore verso la -non- violazione di regole comunitarie. Non lo è il comitato SI-Tav, il cui fervore deriva dalla paura (degli imprenditori del nord) di perdere fondi e commesse dall’Europa, più che dalla preoccupazione per il futuro del territorio. E non lo è nemmeno l’ultima paladina della dottrina immigrazionista: Louise Arbour.

L’avvocato canadese,

rappresentante speciale per le migrazioni dell’ONU, nonché redattrice del Global Compact, ha recentemente usato parole molto aspre nei confronti di tutti i paesi -tra i quali l’Italia- che hanno comunicato la volontà di non firmare il suo manifesto. Un trattato che parla apertamente di potenziamento dei sistemi di integrazione, ma naturalmente solo per motivi umanitari. Avrete mica l’ardire di sospettare un possibile tornaconto personale o un coinvolgimento diverso da quello strettamente emotivo?

Eppure, Louise Arbour è stata per 5 anni(dal 2009 al 2014) presidente dell’International Crisis Group,

una ONG transnazionale che svolge attività di ricerca sulle dinamiche e sulle possibili soluzioni dei conflitti violenti. Un’organizzazione, nel cui consiglio siede (ma tu pensa) il figlio della Arbour, nata grazie alla generosa donazione di un amico di vecchia data: George Soros. Proprio quel Soros che, più di tutti, ha investito nel settore dell’accoglienza, che ora vede le sue creature vittime di una crescente impopolarità e, in alcuni casi, di misure che introducono controlli più penetranti alle frontiere o requisiti più selettivi per il rilascio dei permessi umanitari.

Non v’è dubbio che una parte della esigua controinformazione italiana -e non- nutra un complesso di natura ossessiva nei confronti del magnate ungherese e che talvolta questo sfoci nel peggior complottismo, ma si tratta pur sempre del sedicente filantropo che ha speculato con profitti miliardari su Lira e Sterlina e che ha dato il suo benestare a tutte le più recenti e più sanguinose guerre umanitarie. Conflitti che non hanno creato solo morte e miseria, ma, caso strano, anche innumerevoli profughi.

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Di Filippo Klement

Classe 1990, ha studiato giurisprudenza, a latere un vasto interesse per la storia contemporanea e la politica.

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