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Israele bombarda Damasco e smentisce Salvini

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A due settimane dalle parole sullo stato ebraico e su Hezbollah, ci pensa lo stesso esercito israeliano ad evidenziare le lacune del vicepremier in materia di geopolitica mediorientale

 

                                                                              

Non più tardi di un paio di settimane fa, questa stessa redazione si era scomodata nel commentare la ricostruzione degli equilibri mediorientali -molto fantasiosa- proposta dal nostro Ministro dell’interno. Per coloro i quali non fossero al corrente dei fatti, ricordiamo che Matteo Salvini, durante la sua prima visita istituzionale in Israele, aveva destato notevole scalpore per via di alcune dichiarazioni su Hezbollah e, per l’appunto, sullo stato ebraico; il tutto, con il suo tipico modus operandi molto trumpiano, fatto di post e cinguettii social.

Se il movimento sciita libanese era stato marchiato come terrorista, la nazione guidata dal Benjamin Netanyahu  aveva invece ricevuto la benedizione del vicepremier italiano, venendo insignita del titolo tanto caro alla narrazione sionista: quello di “unica democrazia del Medioriente”.

 

La vera natura di Hezbollah

Già in quella occasione, ci eravamo soffermati sulle storture delle suddette esternazioni. Una rappresentazione faziosa e volontariamente superficiale, ma soprattutto contraddittoria rispetto alle dinamiche riscontrate negli ultimi anni. Anni in cui il partito di Dio ha costantemente supportato il fronte governativo siriano, senza lesinare aiuti economici, militari ed umani, con un solo ed unico fine: frenare l’avanzata dello Stato Islamico, per poi affossarlo. Un risultato che, se ora pare essere a portata di mano, lo si deve solo all’attività sul campo delle forze di Assad, dell’esercito russo, delle milizie iraniane e proprio di Hezbollah, che nella lotta contro l’Isis avrebbe perso oltre 1600 uomini.

Si tratta di un sacrificio esemplare nel contrasto alla principale sigla terroristica internazionale: purtroppo, non esattamente quello che si può dire per Israele. Dalla “terra santa”, in questi anni, sono infatti partite diverse azioni militari volte a colpire i nemici presenti nella regione (iraniani ed Hezbollah); azioni che hanno creato pesantissime interferenze nella già probante guerra civile siriana. Così facendo, le forze impegnate contro il califfato hanno dovuto rallentare spesso la loro attività di riconquista territoriale, a causa di quello che non può essere catalogato come un vero e proprio conflitto parallelo, quanto piuttosto come una maliziosa opera di disturbo (nel classico silenzio della comunità internazionale, che contraddistingue le volte in cui Israele recita la parte del reo).

 

L’aggressione di Natale e le tensioni con la Russia

Ad avvalorare questa ricostruzione, dimostrando una volta di più le lacune di Salvini in materia di geopolitica mediorientale, ci ha pensato lo stesso esercito israeliano, con l’ennesima vile recrudescenza. Nella notte di Natale appena passata infatti, la contraerea siriana è stata costretta ad intercettare una quindicina di missili diretti verso la zona sud di Damasco: un attacco che non è stato né confermato, né smentito dai vertici di Tel Aviv (prassi consolidata, che la dice lunga sull’identità dei responsabili), ma che ha suscitato una dura reazione da parte del Cremlino. Il ministro degli esteri Lavrov ha parlato di “grave violazione della sovranità della Siria e delle disposizioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu, inclusa la risoluzione 1701”, oltreché di un’azione potenzialmente pericolosa per due aerei di linea russi che volavano, rispettivamente, verso Beirut e Damasco.

Questo episodio segna un ulteriore inasprimento nei rapporti diplomatici tra lo stato della stella di Davide e Vladimir Putin, dopo i tragici fatti verificatisi nel mese di Settembre. In quel frangente, un jet russo si trovò in mezzo ad un proverbiale fuoco incrociato, venendo involontariamente abbattuto dalle forze aeree siriane, le quali stavano tentando di rispondere ad una delle tradizionali ingerenze militari dell’esercito di Netanyahu.

 

Il ruolo di Trump

Un altro aspetto tutt’altro che secondario è il contesto temporale in cui si colloca questa ennesima aggressione, la quale segue di pochi giorni la notizia del disimpegno delle forze americane annunciato da Trump. La scelta del presidente statunitense, essendo una conferma dell’ormai imminente fine delle ostilità (nonché dell’Isis), dovrebbe risultare benaugurante per tutti. Per tutti tranne che per Israele, che viene così costretto a gettare la maschera, ammettendo l’auspicio e la necessità di una prosecuzione del conflitto siriano.

Un ritiro del contingente a stelle e strisce finirebbe per riconsegnare piena sovranità al governo di Bashar al-Assad, unico grande alleato dell’Iran rimasto nella regione. Ecco perché la sconfitta del califfato, non può che rappresentare una sonora batosta per Israele: quello stesso Israele che per il nostro vicepremier e per gran parte delle istituzioni occidentali, va supportato da chiunque brami la pace. Al contrario di quei terroristi di Hezbollah.

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Di Filippo Klement

Classe 1990, ha studiato giurisprudenza, a latere un vasto interesse per la storia contemporanea e la politica.

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