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Il ventennio di Putin nel segno dell’intesa con la Chiesa ortodossa

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La Russia nel 2020 si prepara a celebrare un anniversario molto importante: il ventennale dalla salita al potere di Vladimir Vladimirovič Putin.

di Francesca Argentini

Lo Zar si insediò al Cremlino sulle macerie dell’ultima presidenza Eltsin, con l’economia in codice rosso e la corruzione generalizzata. All’inizio del nuovo millennio, da quell’anonimo ex agente del Kgb nessuno si sarebbe aspettato una simile longevità al potere. Putin, invece, con la breve pausa negli anni dell”arroccamento’, ha saputo rimanere saldamente al comando di un Paese di 17 milioni di km.

Il più grande successo di questo ventennio non è economico né geopolitico, ma sta in un campo molto più delicato se si tiene conto della pesante eredità lasciata dal regime comunista: la ricostruzione dell’identità nazionale. In una terra sconfinata reduce dagli anni dell’ateismo di Stato e delle persecuzioni delle Chiese, la straordinaria intuizione di Putin è stata quella di investire sull’anima religiosa del popolo. La fede era riuscita a sopravvivere ai tentativi di estirparla durante il periodo sovietico ed ha conosciuto nuova linfa con il crollo dell’Urss e dopo l’ubriacatura liberista.

Putin ha costruito un rapporto di ferro

con la Chiesa ortodossa russa, le ha assegnato importanti funzioni statali e si è presentato agli occhi del popolo come suo primo difensore. Su questo argomento così decisivo per la costruzione del mito dello Zar e per il suo consenso mantenuto nonostante tutti questi anni al potere ci sono dei passaggi interessanti in un libro di recente uscita, “Vaticano e Russia nell’era Ratzinger” (Tau Editrice). Il volume, scritto dal giovane storico Nico Spuntoni, è dedicato ai rapporti russo-vaticani negli anni dal crollo dell’Urss fino all’incontro di Cuba tra Francesco e Kirill e vuole mettere in evidenza il ruolo centrale di Benedetto XVI.

Nel primo capitolo però viene ricostruito il percorso che ha visto il passaggio di potere da Putin ad Eltsin e vengono sottolineate alcune importanti differenze da rilevare. Scrive Spuntoni:

è dal Duemila in poi, con l’ascesa al potere di Vladimir Putin, che si può parlare del ritorno di un’aggiornata alleanza tra trono ed altare in Russia. Sin dai primi giorni al Cremlino, continua l’autore, orienta il suo mandato presidenziale alla riscoperta dell’identità nazionale come collante dello sconfinato e multietnico paese eurasiatico, un fine per il quale gli appare d’importanza strategica il ruolo svolto dalla Chiesa ortodossa sotto il profilo culturale prima ancora che religioso.

Con il trascorrere degli anni

e dei mandati presidenziali, lo Zar ha intensificato quest’aspetto e lo ha utilizzato anche sul profilo personale. Putin, a differenza di Eltsin, si proclama fieramente un fedele ortodosso, si fa ritrarre in preghiera, si reca nei monasteri, bacia le icone. La sua fede poi, oltre ad unire la sua sensibilità con quella del popolo, pare autentica e lo ha dimostrato in tanti frangenti, ad esempio nel 2013 quando baciò l’icona portata in Vaticano come regalo a papa Francesco.

Questo aspetto non gli ha mai fatto trascurare però il rispetto per le altre religioni visto che è pur sempre il presidente di un Paese dove gli islamici rappresentano il 6,5 % della popolazione. Nel ventennale del suo primo arrivo al Cremlino, l’intesa tra Putin ed il Patriarcato ortodosso resta forte e punta soprattutto sull’educazione civica: l’ultima sfida comune è quella di dare un ruolo alla Chiesa nella formazione dei giovani sul web. Il segno che quell’alleanza trono-altare restaurata dallo Zar è tutt’altro che affievolita ed avrà un peso anche per il futuro del Paese.

 

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Di Redazione Elzeviro.eu

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