Solare verità, sia sul piano storico che sul piano della coscienza di massa. Le prime forme di cooperazione rafforzata tra gli Stati europei datano 1951 e 1957 (trattati di Parigi e di Roma) e si connotano per l’istituzione di una “comunità” europea del carbone e dell’acciaio e di una “comunità economica” europea (CEE).

Si trattava di intelligenti e lungimiranti forme di “comunitarismo interstatuale” che avevano un senso; e infatti funzionavano proprio perché concepite in una logica di “Comunità”, non di “Unione”. E si muovevano su un piano “economico”, non “politico”.

Erano, in qualche modo – un “modo” equilibrato, abbastanza coinvolgente, ma non troppo soffocante – di tradurre in pratica il monito dell’economista liberale francese Frédéric Bastiat: “dove non passano le merci, passano i cannoni“.
Non pretendevano, insomma, l’impossibile, vale a dire la fusione a freddo di nazioni troppo diverse per diventare una cosa sola.
Moltissimi europei, singoli cittadini e interi popoli, hanno inizialmente aderito con entusiasmo a questo progetto, proprio perché non intaccava la loro indipendenza e autonomia nazionale.

Questo spirito è stato tradito dagli eventi successivi

E il tradimento è consistito nell’aver traghettato gli europei da quel disegno (comunitario e di matrice economica) a uno tutt’affatto diverso (unionista e di matrice politica), dove si è preteso di imporre un presidente, una bandiera, un inno a persone e a nazioni che già ne avevano di propri senza desiderarne, né averne mai desiderati di nuovi.

Farage prosegue, poi, con un’annotazione sul sedicente “processo democratico” con cui si è arrivati a questa Unione:

Nel 2005 ho visto la Costituzione scritta da Giscard d’Estaing e da altri, l’ho vista bocciata dai francesi in un referendum e poi l’ho vista bocciata dagli olandesi in un referendum e ho visto voi in queste istituzioni ignorarli, riportarla nella forma del Trattato di Lisbona e vantarvi di averla fatta passare senza referendum.

Anche in questo caso, chi può negarlo? La marcata tendenza delle élite europee a portare avanti la missione integrazionista a dispetto delle manifestate volontà popolari non è un’opinione, ma un dato di fatto.

A questo punto il discorso di Farage

fa un salto di qualità e pone la domanda che tutti avremmo dovuto porci molti anni fa e che oggi forse, almeno per noi, suona drammaticamente tardiva:

Cosa vogliamo dall’Europa? Se vogliamo commercio, amicizia, collaborazione, reciprocità non abbiamo bisogno di una Commissione Europea, della Corte Europea di Giustizia, di tutte queste istituzioni e di tutto questo potere.

Touché: ancora una volta.
L’Unione attuale è un “termitaio” di burocrati il cui vertice pianifica i bilanci dei singoli stati di semestre in semestre; e lo fa con una ossessione patologica per le virgole e i decimali.
Ancora una volta, non è ciò che gli europei, e i loro padri nobili, avevano in mente quando pensavano al futuro dei propri paesi.

A un certo punto Farage esclama:

Noi adoriamo l’Europa, ma detestiamo l’Unione Europea.

Pure in questa affermazione c’è un potente afflato di verità in grado di spazzare via un micidiale equivoco: l’idea che gli euroscettici o gli euro-critici, i populisti e i sovranisti, debbano essere tutti necessariamente dei nazionalisti ottusi e bellicosi, l’uno contro l’altro maldisposti. È vero il contrario: la gran parte di essi adora l’Europa intesa come “comunità” di Stati indipendenti e pacificamente cooperanti, ma non sopporta più questo tipo di “unione” forzata fra gli stessi.

La conclusione del discorso di Farage, per finire, è una metafora perfetta di quanto egli ha detto, nei quattro minuti del suo intervento, e di quanto è accaduto nei quarant’anni che abbiamo alle spalle.

Farage e i suoi iniziano poi a sventolare la bandiera del Regno Unito e, per questo, il Presidente del parlamento gli toglie la parola minacciando: “Se disobbedisce alle regole, il suo microfono viene tagliato; per favore rimuova le bandiere”.
Ecco cosa è, oggi, l’Unione: una a-democratica e coatta rimozione delle identità nazionali.

 Ma questa non deve per forza essere l’Europa democratica del futuro. E una delle più antiche democrazie del mondo ci sta sollecitando a trovare non tanto una liberante via d’uscita per restare da soli, ma una via totalmente diversa per rimanere insieme.