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Guaidó e l’immoralità dei “buoni”

(Photo credit should read FEDERICO PARRA/AFP/Getty Images)

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Lo staff dell’autoproclamato presidente sprofonda in uno scandalo che rischia di spezzare una volta per tutte il sogno di golpe. Tra appropriazioni indebite, mancati rendiconti ed aiuti umanitari scaduti.

 

In una vecchia intervista, Maurizio Blondet asseriva provocatoriamente – ma nemmeno troppo – come i leader della stoffa di Saddam o Gheddafi, siano sempre risultati indigesti agli USA in virtù di una loro precisa propensione: quella di investire i proventi del petrolio nello stato sociale, anziché sperperarli (alla stregua di molti emiri) in “mignotte e cocaina”.

Semplificazione naturalmente finalizzata a sdrammatizzare una più complessa analisi delle incoscienti esportazioni di democrazia a stelle e strisce, ma che oggi, alla luce del recente scandalo che coinvolge lo staff del guru dell’opposizione venezuelana Juan Guaidò, assume connotati diversi. Più che una battuta estemporanea infatti, sembra essersi trasformata in una involontaria e sinistra profezia.

I fondi per i disertori

Il legittimo presidente Nicolas Maduro

Ma partiamo da un rapido riassunto delle puntate precedenti. Vi ricordate di Juan Guaidò? Il golpista che in nome della liberazione dalla tirannia postchavista, si autoproclamò presidente, paralizzaò le attività istituzionali di un paese da 32 milioni di abitanti, istigò disordini che causarono vittime civili e soprattutto invocò l’intervento militare straniero sul proprio suolo?

Ecco proprio lui, un soggetto  disposto a provocare un conflitto sanguinoso (che avrebbe dilaniato ulteriormente un popolo già allo stremo), pur di riporre in soffitta il regime corrotto di Maduro, pare aver sorvolato di fronte ad una lieve svista di alcuni suoi collaboratori. I militanti di Voluntad Popular Kevin Rojas e Rossana Barrera, designati da Guaidò per gestire i fondi destinati alla sussistenza dei militari dissidenti, avrebbero dapprima fatto lievitare il numero dei disertori – da 700 a più di 1400 – al fine di ottenere maggiori risorse dai partner internazionali del sedicente capo di stato, per poi dilapidare una somma attorno agli 800mila dollari in hotel di lusso, alcol, discoteche e noleggi aerei.

Altre ombre e gli aiuti andati a male

Non v’è dubbio che un’attività dispendiosa come la rivoluzione esiga un po’ di meritato ristoro, peccato che quelle somme avessero, nel caso di specie, un valore strategico inestimabile. Infatti, non solo si trattava di fondi destinati ai ribelli presenti all’interno delle guardie bolivariane, ma anche di un passaggio imprescindibile, nel contesto dell’unico goffo tentativo di golpe privo di una qualsivoglia investitura delle forze armate.

Una vicenda che oscilla tra il grottesco e lo squallido e che getta nell’ombra, si spera definitivamente, la credibilità dello staff di questo ennesimo fantoccio imperialista. Il tutto, senza considerare altri dettagli fin qui omessi; come i bagordi nel lusso colombiano di Cúcuta, in cui un deputato golpista e il suo assistente (deceduto la stessa notte per overdose) sono stati derubati della bellezza di 250.000 dollari – di provenienza ignota – da due prostitute. Oppure, come il mancato rendiconto sull’utilizzo dei 2,4 milioni raccolti nel famoso concerto di Richard Branson e poi devoluti per l’acquisto di aiuti umanitari. Aiuti umanitari che, dulcis in fundo, i funzionari vicini a Guaidò, tra una notte brava e l’altra, sembrano non aver avuto tempo di controllare e che, sempre secondo il servizio di PanAm Post, sarebbero andati a male per il 60% del totale. Un bottino di guerra davvero invidiabile per chi, da mesi, ci ammorba con il sofisticato sistema di corruzione creato da Maduro e con la sua diretta ripercussione sulle miserabili sorti del popolo venezuelano.

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Di Filippo Klement

Classe 1990, ha studiato giurisprudenza, a latere un vasto interesse per la storia contemporanea e la politica.

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