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Diciamo addio alla favola della “più grande democrazia del mondo”

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Lo squallido teatrino politico appena consumatosi negli Stati Uniti – sommato ad alcune peculiarità della disciplina elettorale americana – impone un necessario ripensamento rispetto al mito della democrazia a stelle e strisce.

di Andrea Zhok

Ricapitolando. Il paese guida dell’Occidente è alle prese con le sue elezioni più importanti. Si fronteggiano un signore senile e insignificante, tenuto insieme dalla mascherina, e un guitto trash cui nessuno sano di mente affiderebbe la gestione di una bocciofila. Entrambi si sono esibiti in dibattiti di sconcertante volgarità, politicamente e culturalmente imbarazzanti.

Le elezioni stanno procedendo sull’arco di due mesi, con voti postali che sembra arrivino col piccione viaggiatore o a dorso d’asino; e peraltro non si sa bene se abbiano valore legale o meno.

Anche durante l’apertura delle urne i contendenti hanno continuato a fare campagna elettorale e a tenzonare, alternando colpi bassi a colpi infimi. In ogni caso non vince chi riceve più voti, ma chi ha più fortuna nella combinatoria dei ‘grandi elettori‘.

Mentre avviene tutto ciò, i commentatori ci spiegano, come fosse la cosa più ovvia del mondo, che poi comunque si ricorrerà al giudizio del sommo organo giudiziario del paese, la Corte Suprema, che ha un’ampia maggioranza repubblicana (6 contro 3).

Cioè, i rappresentanti del massimo organo di garanzia legale del paese sono di nomina presidenziale (dunque POLITICA), e gli equilibri politici nella corte sono decisi dalle congiunzioni astrali, a seconda di quanti giudici tirano le cuoia durante un certo mandato.

Ora, va bene tutto, ma almeno, la prossima volta che qualcuno sbamba della “Più grande Democrazia del Mondo“, o pretende che qualche polizia internazionale a guida americana “Esporti la Democrazia” in paesi che, poverelli, ne sarebbero carenti, ecco almeno, per piacere, inceneriteli con una risata.

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