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Scampoli di sovranità: i Sioux vincono contro Obama, ma con Trump sarà dura…

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FORT YATES (Nord Dakota) – Obama ha scelto di non scegliere, o meglio: di rinviare la decisione scomoda alla amministrazione ventura, quella di Trump. La scelta è tra costruire o non costruire un oleodotto che con tutta probabilità priverebbe la popolazione Sioux di Standing Rock, Nord Dakota, dei suoi naturali approvigionamenti di acqua. Una grande mobilitazione, sponsorizzata innanzi tutto, a livello politico, dai Verdi americani guidati dalla candidata alla presidenza la dottoressa Jill Stein, ma patrocinata anche da star della musica come Ani Difranco. Stein a settembre era stata denunciata per aver scritto sulla lama di una ruspa della società costruttrice dell’oleodotto la sua solidarietà alla protesta.

Una battaglia che è stata di nicchia finché una frangia dell’esercito americano, non ostante la sentenza di un giudice a settembre abbia permesso alla compagnia lobbista di effettuare i lavori dell’oleodotto, ha bloccato tutto. I veterani ecologisti dell’esercito, in circa un migliaio, sono riusciti a bloccare l’operazione e a darne la meritata eco, anche internazionale. Si è trattato di rispettare gli ultimi scampoli di sovranità dei veri abitanti del territorio nord-americano. I Nord Americani non anglosassoni né africani.

I cosiddetti “natives” sono stati alfine difesi da rappresentanti delle forze armate. Un vero spettacolo, dopo molte umiliazioni. La compagnia petrolifera aveva già citato in giudizio il capo tribù e molte altre persone di rilievo della riserva di nativi, accusandoli di bloccare i lavori e minacciare gli operai. I Sioux, la più famosa tribù indiana del Nord America, hanno assicurato a più riprese che la loro protesta fosse pacifica, sottolineando come nel loro accampamento sia vigente e rispettato il ferreo divieto di armi, alcol e droga. 


In questi ultimi mesi molti attivisti e nativi americani sono stati arrestati per le proteste e i sit-in sul fiume Missouri, finché, anche a fronte dell’intervento dei veterani, l’amministrazione Obama ha dovuto impedire alla società texana che intende costruire l’oleodotto di proseguire i lavori. Uno stop che sembra però una vittoria solo temporanea.
La massiccia opera in questione non sembra infatti destinata a sopperire dinanzi alle proteste di un popolo che rimarrebbe privo delle sue risorse naturali, a fronte dei fortissimi interessi che gravitano intorno al petrolio.

L’oleodotto arriverebbe ad una lunghezza di quasi duemila chilometri, partendo dai campi del Nord Dakota per giungere fino in Illinois, passando per il South Dakota e l’Iowa. Ad opera ultimata la colossale opera avrà una capacità massima di 550 mila barili di greggio al giorno. Il Presidente eletto degli Stati Uniti ha egli stesso degli interessi che preludono ad un conflitto d’interessi in materia. Nell’opera dell’oleodotto sono stati investiti 3,7 miliardi di dollari. La famiglia del magnate che si insedierà alla Casa Bianca il 20 gennaio ha una partecipazione nella società che costruisce l’oleodotto. Trump possiede oggi azioni per 100-250 mila dollari nella Philips 66, che detiene il 25% della Dakota Access.

Trump non si è fatto attendere nel pronunciarsi su tale argomento dicendo che esaminerà la decisione presa dall’amministrazione Obama di negare il permesso per il progetto. Il capo della squadra di transizione del presidente eletto, Jason Miller ha anche ricordato come “Donald Trump sostiene la costruzione dell’opera e si riserva di prendere le decisioni più adeguate”. Una doccia fredda sulla festa dei Sioux iniziata due giorni fa dunque, ma anche un preludio ad una nuova ed avvincente battaglia per la sovranità, in quel della riserva indiana Sioux di Standing Rock, che si estende tra il Nord ed il Sud Dakota.

 

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Di Redazione Elzeviro.eu

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