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Investimenti in cambio d’avorio: ecco come la Cina depreda l’est Africa

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La Repubblica Unita di Tanzania (Jamhuri ya Muungano wa Tanzania, in kiswahili) ottenne formalmente l’indipendenza dall’odiosa colonizzazione britannica il 9 dicembre del 1961. La libertà, sulla carta, ottenuta dopo anni di schiavismo imposto dalla corona britannica non ha però tutelato il Paese dalle nuove forme di sfruttamento, non più politiche, ma economiche. Ci ha pensato infatti il Fondo Monetario Internazionale a ristabilire le “gerarchie” di potere dopo la nobile parentesi targata Nyerere.

In un’inchiesta giornalistica targata Paolo Barnard andata in onda sul programma di Milena Gabanelli “Report”, si evidenziava come il FMI avesse imposto un’economia di mercato al Paese. Risultato? “Supermercati pieni di beni di consumo, ma deserti, perché nessuno se li può permettere“. Così inizia la solita spirale del debito, la stessa che abbiamo tristemente conosciuto noi europei dopo la crisi dei mutui subprime americana 2007/2008. Austerity per ripagare un debito che la popolazione non ha mai contratto. La devastazione operata dall’FMI ai danni della Tanzania è stata il preludio per il colonialismo del terzo millennio, quello firmato Pechino.

Oggi la Cina è il primo “partner” economico dell’ex Tanganica, con un afflusso di investimenti pari a 2,17 miliardi di dollari (dati del 2012) e con un peso economico pari al 15% dell’intera economia tanzaniana. Gli analisti economici che non vanno oltre i numeri diranno che tale iniezione di soldi ha portato alla costruzione di infrastrutture quali strade, trasporti, case e porti, contribuendo alla creazione di circa 150.000 posti di lavoro. Numeri che, come spesso accade, non fanno fede alla realtà dei fatti.

Dar es Salaam, il principale centro economico del Paese, è il riquadro perfetto delle contraddizioni portate dal neocolonialismo angloamericano prima e cinese poi. Alcuni dei principali servizi, come il sanitario e i trasporti, sono stati privatizzati a seguito delle politiche imposte dal FMI. Questo ha reso sempre più difficile l’accesso al sistema sanitario per una nazione che si colloca al 151esimo posto nell’indice di sviluppo umano 2015, mentre ha trasformato i trasporti in una corsa sfrenata ai clienti-passeggeri, rendendo i daladala (bus cittadini) più simili a scatolette di sardine che altro.

Inoltre tale ingombrante presenza cinese provoca una più sottile e ombrosa stortura economica di carattere strutturale: in presenza dei colossi cinesi la popolazione locale non può far altro che recitare il ruolo di bassa manovalanza, senza così poter sviluppare un’imprenditoria forte e capace di autodeterminare le proprie infrastrutture.

Fortunatamente il nuovo governo, su una linea più ostile nei confronti degli investimenti stranieri, ha bloccato il mastodontico progetto cinese che prevedeva la costruzione di un porto nella località di Bagamoyo (a nord di Dar es Salaam) che avrebbe portato nel 2045 allo smercio di 20 milioni di teu (twenty foot equivalent unit, l’unità di misura della capacità di un classico container da nave). Il porto sarebbe diventato il più grande dell’est Africa garantendo alla Cina dei profitti da urlo.

Tuttavia Pechino continua ad avere un’altra via di introiti dal mercato tanzaniano, quella che porta grosse quantità di avorio, richiestissimo nel mercato cinese. Secondo l’Enviromental Investigation Agency la popolazione di elefanti in Tanzania è passata da 70.000 nel 2006 a 13.000 nel 2013, un disastro eco-ambientale. Secondo le Nazioni Unite la domanda cinese e l’offerta tanzaniana di avorio sono la più grande minaccia per gli elefanti presenti nel Paese.

La Tanzania è più in generale buona parte dell’Africa subsahariana rappresentano tuttora terreno di conquista per i globalizzatori, ovvero quei grandi attori economici che non fanno altro che imporre il proprio sistema a discapito di un altro (nel nome della globalizzazione che tutto giustifica, anche lo sfruttamento) e pare che non vi sia ancora un limite per i loro profitti.

“Ma come potete comprare o vendere il cielo, il colore della terra? Questa idea è strana per noi. Noi non siamo proprietari della freschezza dell’aria o dello scintillio dell’acqua: come potete comprarli da noi?“, Capriolo Zoppo, capo Pellirossa in una lettera indirizzata al Presidente USA Franklin Pirce.

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Di Redazione Elzeviro.eu

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