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Elezioni USA 2016: sarà la corsa degli outsiders?

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Speciale sulle presidenziali americane – di Ario Corapi

 

Trump e Carson repubblicani “indipendenti”, il socialista Sanders sorpresa tra i DEM. Politica estera, Welfare e immigrazione i temi più caldi.

 

WASHINGTON – Manca ancora un anno al fatidico election day dal quale uscirà il nome del 45simo presidente degli Stati Uniti d’America. Tuttavia, per quanto la corsa alla Casa Bianca sia ancora lunga, la competizione elettorale ha già mostrato non poche sorprese già in questi primi mesi su entrambi i fronti. Molteplici sono i temi dibattuti in questa competizione elettorale, in particolare quelli inerenti a Welfare, immigrazione e politica estera.

 

Da chi è composta la platea e chi sono i candidati alla Casa Bianca?

 

Repubblicani – Sembra che in vista del 2016 il GOP debba ritrovarsi a scegliere come candidato o un politico di professione o una personalità della società civile comunque vicina ai repubblicani, ma comunque dalla linea più indipendente. Tra i cosiddetti politici spiccano i nomi dell’ex governatore della Florida Jeb Bush, figlio di George H.W. Bush e fratello di George W. Bush, e del giovane senatore della Florida di origini cubane Marco Rubio. Ha già fatto un passo indietro dalla corsa il governatore del Wisconsin Scott Walker, ritiratosi due settimane fa per divergenze con la linea politica del partito, anche se voci vicine al governatore rivelano che la vera motivazione sia legata alla difficoltà di raccogliere fondi e contributi per la campagna elettorale. Quanto ai “repubblicani indipendenti” il nome più forte è quello del magnate miliardario Donald Trump il quale, dopo innumerevoli candidature bluff gli anni passati, pare che stavolta abbia deciso di candidarsi sul serio. La manager Carly Fiorina, ex amministratore delegato di Hp e che la rivista Forbes nel 2004 ha incluso tra le 100 donne più potenti del mondo, e infine il medico neurochirurgo di Detroit, l’afroamericano Benjamin Carson. La corsa alla nomination repubblicana sembra molto aperta, nonostante fino a pochi mesi fa l’erede della dinastia Bush venisse dato per favorito appena lanciata la candidatura, tutto fino a quando il miliardario Trump non ha deciso di irrompere nel dibattito con il suo stile sfacciato, stravagante e sicuro di sé tipico del self made man che ricorda molto Silvio Berlusconi nel 1994.

 

Lo scorso 17 settembre si è tenuto presso la Ronald Reagan Library un incontro-dibattito aperto tra tutti i candidati repubblicani, dibattito che ha visto quasi tutti i candidati scagliarsi proprio contro Trump, contro le sue attività finanziarie e contro le sue proposte di tagli alle tasse – tagli delle aliquote fiscali sia sui redditi da lavoro che sui redditi di impresa per favorire così un tasso di crescita del 3% annuo e tale diminuire un debito pubblico, quello americano, sempre più gravoso – questo anche a dimostrazione di quanto Trump sia temuto da quasi tutto l’ambiente repubblicano. Gli ultimi sondaggi vedono Trump in testa con il 24% dei consensi, seppur con un calo del 8% rispetto ad un mese fa, seguito dalla Fiorina che pare essere l’unica candidata riuscita a tenergli testa durante il dibattito del 17 settembre, seguiti da un Jeb Bush che dopo essere stato dato per favorito pochi mesi fa, ora sembra in affanno.

 

Democratici – Hillary Rodham Clinton, ex first lady poi eletta senatrice dal 2001 al 2009, già candidata alle primarie democratiche nel 2008 poi perse contro Barack Obama, nonché ministro degli esteri dal 2009 al 2013 durante il primo mandato proprio di Obama, ha rilanciato la sua candidatura alla presidenza lo scorso 12 aprile e fino a pochi giorni fa sembrava potesse vincere le primarie dei democratici in maniera quasi del tutto indisturbata. Giusto un mese fa però, la Clinton ha perso il primo confronto delle primarie nello Stato dell’Iowa contro il 74enne senatore del Vermont Bernie Sanders, democratico ultra progressista tale da definirsi un “socialista pacifista” che in una società come quella americana suona quasi come una blasfemia. Nelle ultime settimane i vertici dell’establishment democratico hanno valutato anche la candidatura dell’attuale vice-presidente Joe Biden, il quale però non ha voluto alimentare le voci e infatti sembra poco propenso a cogliere l’occasione.

 

La Clinton credeva di essere intoccabile per via del suo cognome e per il suo passato da first lady, tuttavia le notizie trapelate negli ultimi mesi circa le attività finanziarie della Clinton Foundation, la fondazione di famiglia gestita dal marito, hanno fatto perdere terreno alla candidata. Stando al New York Times, la fondazione avrebbe ricevuto qualche anno fa generose donazioni da parte di una società energetica russa allo scopo di ottenere agevolazioni nell’acquisizione di un quinto dell’uranio americano, questo mentre la Clinton ricopriva l’incarico di segretario di Stato tra il 2009 e il 2013. Cio che è bastato a far gridare allo scandalo, specie quando si parla di uranio e di industria atomica in un paese come gli States e ancor di più se ad averne tratto vantaggio è una società russa legata al Cremlino. I sondaggi di qualche mese fa sulle primarie democratiche davano la Clinton al 68% e il socialista Sanders appena al 10%, dopo lo scandalo sulla fondazione di famiglia gli ultimi sondaggi vedono la Clinton precipitata al 40% e Sanders al 25%.  La Clinton, oltre ad essere in buona sostanza la candidata ufficiale dell’establishment democratico, raccoglie consensi notevoli tra le donne bianche della classe operaia e parte delle donne della classe borghese. Sanders invece raccoglie i propri consensi nell’elettorato più radicale e più progressista e, data la sua vocazione pacifista (quasi fricchettona!) ha molti sostenitori negli ambienti accademici e intellettuali della East Coast.

 

Innumerevoli saranno i dibattiti, gli eventi, gli scambi di colpi tra candidati e i temi che la campagna elettorale americana sfornerà nei prossimi mesi, tanto più man mano che il fatidico election day si avvicinerà. Oltre a temi come l’economia nazionale, il Welfare, un altro molto sentito come l’immigrazione e sul quale i candidati repubblicani stanno esprimendo posizioni molto nette, sembra che il maggior spazio sarà occupato dalla politica estera. Anche perché proprio dalla politica estera dovrà uscire nei prossimi anni la nuova immagine dell’America post-Obama e quindi il ruolo degli Stati Uniti nello scacchiere internazionale. Una cosa è certa, se gli Stati Uniti non dovessero riuscire ad uscire dal pantano della guerra in Siria e in Medio Oriente nel quale sono bloccati da 3 anni a questa parte, il prossimo presidente americano potrebbe ritrovarsi a governare un paese non più in veste di prima potenza mondiale.

 

@ArioCorapi

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Di Redazione Elzeviro.eu

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