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Libia, il “perché sì” di un interventista

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L’unica alternativa all’intervento armato è foraggiare le mafie, ipotesi che chi scrive non può tollerare.

Per una volta, nella storia recente, l’Italia ha le sue, molte, buone ragioni per entrare in guerra con un paese straniero. Non beceri assunti di ipotetiche armi di distruzioni di massa, in realtà dettati dalle lobbies americane avide di petrolio; non la ricerca fantomatica di un capo talebano che si trova in un altro paese; non aiutare un popolo mediorientale che con noi ha pochissimi traffici e rapporti. Forse solo in Kosovo e nella regione balcanica l’Italia è intervenuta, negli ultimi vent’anni, con delle giuste ragioni.

Qui si tratterebbe di un attacco ad una ex colonia, che sta subendo il rapido soggiogamento di una forza fondamentalista estremamente violenta ed avanzata, l’Isis. E’ un errore sottovalutare Isis definendolo un branco di pecorai che combattono con armi non loro. La loro forza è lo sprezzo della vita, il gettare via la vita con assoluta dedizione per la causa, il provocare con quella trucidità medievale a cui le nostre molli membra non sono abituate.

Si tratta di un nemico organizzato, checché se ne dica, che ha già occupato diverse città, vuole riscrivere la mappa del Medio Oriente ed ha come obbiettivo invadere l’Europa passando per i Balcani. La minaccia all’Italia “la nazione crociata” dalle coste libiche, a trecento chilometri dai nostri confini, non può che farci temere per il peggio. Il nostro governo, che per una volta aveva dato segno di voler mettere a posto le cose di cui in gran parte è responsabile (offrì, questo e i precedenti, le basi americane per i droni di bombardamento in Libia), ha subito fatto un dietro front. Finché non saranno i caschi blu, l’Italia non farà una mossa. D’altronde è un paese stremato, stanco, e poco suscettibile il nostro.

Evidentemente si attendono le catastrofi minacciate e preannunciate. Il discorso di Giuseppe Morello sulle vittime militari è sacrosanto, un punto di vista tenere bene a mente, ma ricordiamoci che il più alto numero di vittime l’Italia negli ultimi anni l’ha ottenuto in una missione in cui l’Italia non c’entrava niente, alla fantomatica ricerca di un Bin Laden ben protetto dalla potenza pakistana che mai nessuno, guarda caso, si è sognato di attaccare.

La Francia, che tende a sfilare gli interessi privilegiati agli italiani ottenendo forniture di gas e petrolio, è il paese che tira i fili dei negoziato per un intervento dell’Onu: la diplomazia è al lavoro per arrivare mercoledì ad una riunione del Consiglio di Sicurezza. 
E’ proprio la diplomazia d’oltralpe che gestisce i contatti tra il premier libico Al Thani e l’egiziano al Sisi .
Si discute con estrema lentezza, mentre la Libia è sprofondata nel caos, di una nascitura coalizione di Paesi incaricati di un intervento di stabilizzazione. Potrebbero farne parte, insieme naturalmente all’Italia ed alla Francia, anche Gran Bretagna, Germania, Spagna e Malta. Le notizie, molto più rapide, che ci giungono dall’altra sponda del Mediterraneo è che dopo la decapitazione col coltello di 21 copti sulla spiaggia a guardare l’Italia, Isis ha rapito oggi (17 febbraio) altri 35 cristiani copti della regione. Non servirà pregare Dio per loro, ma non servirà nemmeno pregare l’Onu per difendere i nostri confini e con essi i nostri fratelli cristiani.

La suggestiva ipotesi di finanziare la mafia locale libica appare l’unica residua, se non si vuole intervenire militarmente in modo massiccio e probabilmente dilatato nel tempo. Esperti dicono che per un impegno a lungo termine, con tanto di addestramento di esercito e formazione ufficiale di un esercito statale, solo l’Italia sarebbe disposta ad intervenire onerosamente. Allora ecco che si fa strada quella che per chi scrive è un’opzione inaccettabile, non foss’altro perchè se un giorno si costituisse un più o meno democratico stato libico, la mafia sarebbe il suo primo nemico.

Gli esperti suggeriscono infatti la possibilità di armare e sostenere finanziariamente chi già in Libia sta combattendo i 2/3000 tagliagole presenti nel paese: i clan, le tribù ed i consigli tribali che vorrebbero riprendersi il potere nelle zone ora finite sotto il controllo dei fondamentalisti neri: le mafie locali stanno anche perdendo danaro dal business degli sbarchi clandestini, perché anch’essi sono stati già presi in consegna direttamente da Isis, che tra l’altro minaccia un arrivo di 200mila clandestini in Italia a breve!

Ecco che finanziare i boss libici tradizionali è un’idea che potrebbe portare alla costituzione di una rete di rapporti che vada a costituire un vero e proprio stato libico come oggi non si ravvisa più: un sodalizio tra mafia ed istituzioni che vada a isolare e combattere i jihadisti. Il paragone che è stato fatto è quello dell’Italia del sud, dove lo Stato è sceso a patti con la mafia per molto (troppo) tempo, al fine di mantenere l’ordine pubblico. Questa soluzione tuttavia vorrebbe dire, per chi scrive, eliminare solo temporaneamente un problema, per costituirne uno più a lungo termine. E’ questa quella che appare l’unica soluzione alternativa ad un deciso e ainoi lungo e dispendioso (anche probabilmente in termini di vite umane) intervento militare. E non è certo con il cuore leggero o con leggerezza che si afferma quanto sopra.

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Di Redazione Elzeviro.eu

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