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Il Recovery Fund e l’inevitabile commissariamento del paese

La sede della Commissione Europea

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Che il cosiddetto Recovery Fund avrebbe comportato il definitivo commissariamento dell’Italia era perfettamente prevedibile, anche perché era tutto scritto nero su bianco sui documenti istitutivi.

di Thomas Fazi

E attenzione: il problema non è il Recovery Plan di Draghi ma il Recovery Fund 𝘪𝘯 𝘴é, che comporta le medesime condizionalità a prescindere dal governo che lo implementa. Questo scrivevo sei mesi fa, in pieno delirio massmediatico sulla “pioggia di soldi in arrivo da Bruxelles”:

«È paradossale che molti di quelli che hanno (giustamente) alzato barricate contro il MES “pandemico”, che a ben vedere di condizionalità ne prevedeva relativamente poche (ma non per questo era meno pericoloso), sono gli stessi che oggi plaudono al cosiddetto Recovery Fund, che a ben vedere prevede condizionalità molto più stringenti.

I paesi beneficiari delle risorse UE, infatti, dovranno rispettare le raccomandazioni specifiche per paese della Commissione, che abbracciano praticamente ogni aspetto della politica economica dei paesi membri – politica fiscale, mercato del lavoro, welfare, pensioni ecc. –, oltre ai nuovi obiettivi (“Green Deal” e digitalizzazione), in linea con la sorveglianza rafforzata dei bilanci nazionali prevista dal Semestre europeo. Riforme strutturali, insomma.

Storicamente, però, alla Commissione sono sempre mancati strumenti idonei per obbligare gli Stati al rispetto delle proprie disposizioni. Un “difetto” a cui Bruxelles spera di supplire proprio con il programma NGEU, che per la prima volta offre alla Commissione un dispositivo efficacissimo per imporre le proprie raccomandazioni anche ai governi più recalcitranti, riassumibile nel concetto “niente riforme, niente soldi”.

Questa è la vera polpetta avvelenata del Recovery Fund: l’usurpazione definitiva di quel minimo di autonomia di bilancio – e dunque di democrazia – che ci era rimasta e il rafforzamento del carattere oligarchico della UE, attraverso l’accentramento di ulteriore potere nelle mani di istituzioni anti-democratiche quali la Commissione europea.

Finalmente, a colpi di crisi e di emergenze (spesso e volentieri costruite a tavolino), le élite nordeuropee sono riuscite ad ottenere, con la complicità di una classe dirigente italiana venduta e pusillanime, quello che vanno agognando da sempre: un controllo politico totale della politica economica dei paesi mediterranei e in particolare dell’Italia.

E il tutto in cambio in due spicci che in condizioni di sovranità monetaria potremmo tranquillamente creare a costo zero. Chapeau».

In questo senso – sia chiaro – il vero responsabile di questo disastro è Conte. Se Draghi – letteralmente l’incarnazione vivente del vincolo esterno – ha avuto gioco facile a presentarsi come il salvatore della patria che poteva garantire l’arrivo e il “buon uso” dei fantastiliardi dell’Europa è precisamente perché Conte in primis ha avallato fin dall’inizio la logica del vincolo esterno.

Il Recovery Fund, per evidenti fini di miope autopropaganda, è stato presentato come un generoso regalo di mamma Europa che lo scolaretto Italia avrebbe dovuto fare di tutto per meritarsi e “spendere bene”, e anzi senza i quali saremmo stati perduti.

Insomma, Conte – sospinto da MoVimento Cinque Stelle e PD – non ha fatto che alimentare l’idea dell’Italia come nazione minus habens incapace di gestire se stessa e perennemente bisognosa dell’aiuto (e a volte della “rieducazione”) di qualche “provvidenziale” attore esterno, per definizione più civilizzato e capace di noi.

Chi di vincolo esterno ferisce, di vincolo esterno perisce. Peccato che a farne le spese saremo noialtri. Siate stramaledetti.
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