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L’economia dei buffoni

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Ascoltare Gentiloni che snocciolava i dati della crescita dei paesi dell’Unione Europea

Con una stupida sicumera che lo spingeva a dare cifre precise al decimo di punto (l’Italia, bontà sua, crescerà dello 0,3%), mi ha dato un senso di straniamento come quello che provavano – immagino – i generali tedeschi che, con l’Armata Rossa alle porte, dovevano ascoltarsi i deliri di Hitler che spostava su una cartina divisioni inesistenti.

Eppure dietro questa assurda pantomima non vi è tanto il povero Gentiloni che – senza offesa – capisce di Economia quanto io capisco di astrologia sumera e che ha semplicemente recitato la parte della Kumpetenzia leggendo quello che hanno sfornato decine di economisti al soldo della Commissione, ma vi è il dramma nel quale è precipitata la teoria economica in quest’ultimo trentennio.

L’abbandono del metodo deduttivo/matematico/filosofico per abbracciare il determinismo induttivo/statistico/econometrico.

L’esclusione della storia, della geografia (o della geopolitica e geoeconomia se volete), delle scienze militari e come stiamo amaramente constatando in questi giorni anche il bioeconomico (sì, siamo esseri soggetti a malattie imponderabili e non dei meri fattori della produzione) per abbracciare l’illusione della scienza esatta, deterministica, dei modelli econometrici che ci calcolano le proiezioni del Pil al millesimo con quella postilla “non detta” che tutti coloro che hanno studiacchiato economia conoscono:

Ceteris paribus

A parità di condizioni. Il problema è che la storia (e a maggior ragione la biologia) non è mai a parità di condizioni e ogni tanto viene a ricordarcelo. Assieme alla nostra finta onnipotenza peraltro ricorda agli economisti che l’econometria è l’economia dei buffoni.

Giuseppe Masala

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