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Elogio dell’evasione fiscale

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Un editoriale per dimostrare come l’evasione fiscale non è assimilabile a un crimine sociale, ma che anzi oggi è una legittima arma contro una dittatura economica.
Ci vuole coraggio, direte, a difendere gli evasori fiscali in un momento così difficile per tanti onesti cittadini che “faticano ad arrivare alla fine del mese” con tutto in regola. Anche se di coraggio ne abbiamo da vendere, non è quello a spingerci a scrivere un simile editoriale, si tratta piuttosto di buonsenso e conoscenza minima dell’economia.

Onestà fiscale?

Viviamo in un particolare periodo storico in cui parte delle moralità e dell’etica del cittadino viene giudicata pubblicamente dal suo essere economicamente in regola con lo Stato. Se il cittadino paga le tasse è dunque considerato “onesto”. Se il cittadino evade, in qualsiasi maniera, è un “disonesto”. Se poi tale “disonesto” è anche proprietario di un ingente patrimonio, allora la condanna etica assume contorni da tradimento alla nazione e processo pubblico mediatico.

Si è proprio sviluppata nel tessuto italico una moda giustizialista che ha trovato in Marco Travaglio e nel Movimento5Stelle i suoi principali cantori ditirambici. Urla nevrasteniche e ondate d’inchiostro inquisitorio per dire che “quello ha rubato questo o quell’altro non ha pagato quello”.

Il fatto aberrante di questa vicenda è che i vari Travaglio, Grillo e Dibba, vogliono far credere, o credono essi stessi, che un cittadino, ricco o povero che sia, che evade le tasse, stia in qualche modo “rubando” soldi che altrimenti verrebbero usati per servizi pubblici (ospedali, scuole, ecc.). FALSO. L’evasore, come detto all’inizio, non è mai un criminale sociale. Bisogna ripeterlo come un mantra. I vari Travaglio, Grillo e Dibba hanno infatti “zippato” un passaggio logico fondamentale del processo economico che regola uno Stato.

Le tasse non pagano i servizi ai cittadini

Per spiegare ciò prendiamo libera ispirazione dal giornalista Paolo Barnard, inesauribile fonte per comprendere la materia economica. A livello economico un Paese è diviso in due: il settore pubblico (lo Stato) da una parte, quello privato (cittadini, aziende e famiglie) dall’altra. Tra i due settori, chi è quello che all’origine può creare denaro? Lo Stato. Lo Stato dunque crea denaro e lo “immette” nel settore privato. Quel denaro creato si trasforma in stipendi pubblici, pensioni, consumi, risparmi, conti correnti, profitti aziendali, macchinari per ospedali, libri per le scuole ecc. Le tasse vengono dopo. Le tasse dunque non pagano tutti questi elementi. In un sistema economico dove lo Stato crea la moneta, le tasse servono per “drenare” l’economia.

Ovvero per regolare la quantità di denaro presente nel settore privato. Se c’è troppo contante in circolo, c’è rischio d’inflazione. Lo Stato dovrà quindi aumentare le tasse per ridurre la quantità di denaro. Se c’è poco contante in circolo, lo Stato andrà ad abbassare le tasse per ridurre la deflazione. In un sistema dove lo Stato emette moneta sovrana, dunque, le tasse non pagano i servizi per i cittadini. C’è un ma.

Le tasse nel sistema euro

L’Italia non è Stato con moneta sovrana. Il nostro Paese è all’interno di un sistema economico dove la Banca Centrale europea crea moneta, la stessa viene immessa sul mercato dei capitali, a questo punto lo Stato italiano bussa alla porta del mercato dei capitali europeo per chiedere IN PRESTITO ogni singolo euro. Gli euro a prestito vengono immessi nel settore privato di cittadini e aziende. Ora viene il bello. Alla fine dell’anno lo Stato italiano, che ha in Costituzione il vincolo del pareggio di bilancio (aggiunto dal Governo Monti), dovrà restituire ogni singolo euro al mercato dei capitali. Dunque lo Stato spende 100 per i propri cittadini a gennaio, a dicembre riprende 100. Nel settore privato di cittadini e aziende rimane 0. La crescita risulta dunque impossibile.

Ed è qua dunque che possiamo comprendere come l’evasione non solo non sia assolutamente un crimine sociale, ma sia oggi divenuta una forma nobilissima di ribellione contro una dittatura economica. Spieghiamo meglio. Se il cittadino Gianni, gestore di un bar, decide di non mettersi in regola con l’illuminazione della scritta BAR GIANNI, manterrà nel portafoglio una cifra ipotetica di 1000 euro che non ritorneranno allo Stato (soldi che andrebbero poi restituiti all’Europa e non sarebbero in nessun modo spesi per i servizi ai cittadini). Questi 1000 euro risparmiati, il signor Gianni domani li può spendere in 1000 modi.

L’evasione come fonte di ricchezza?

Può pagare la retta universitaria del figlio, può comprare un motorino, può fare una donazione o può comprare dei vestiti alla moglie. Sono soldi che rientrano, in maniera informale, nell’economia generando RICCHEZZA per i cittadini italiani. Voilà. A voi dunque rispondere alla domanda seguente: il signor Gianni, che potrebbe essere chiunque di voi, è meglio che si metta in regola con 1000 euro, dando i soldi allo Stato che a sua volta li darà all’Europa, o è meglio che i 1000 euro rientrino nell’economia generando ricchezza per tutti? Noi abbiamo già risposto. Voi ponderateci. Immaginate un po’ se un Travaglio andasse a parlare a un contadino francese di metà ‘700 dicendogli che “se non paga le tasse è un criminale”. Lo stesso contadino probabilmente prenderebbe l’aratro per dare 1000 bastonate in testa al giornalista.

No taxation without representation

Allora come oggi, infatti, le tasse non servivano per dare servizi. Erano il mezzo adoperato dai sovrani per pagare le guerre. Nessuno è mai stato contento di pagare le tasse e anzi nessuno è mai stato ritenuto “più onesto” di un altro perché le pagava tutte. “No taxation without representation” dicevano i coloni americani e per questo fecero addirittura una guerra. Travaglio, Grillo e Dibba avrebbero dunque combattutto contro i coloni in quanto giustizialisti. Oggi vale lo stesso. Il popolo non ha representation e dunque l’evasione è l’unico atto non violento che il cittadino può compiere contro la dittatura economica.

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Di Gabriele Tebaldi

Classe 1990, giornalista pubblicista, collabora con Elzeviro dal 2011, quando la testata ha preso la conformazione attuale. Laurea e master in ambito di scienze politiche e internazionali. Ha vissuto in Palestina, Costa d'Avorio, Tanzania e Tunisia.

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