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Anche il Financial Times si è risvegliato socialista

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La multinazionale olandese Philips (che adesso si chiama Signify), con una comunicazione interna ai suoi 32 mila dipendenti nel mondo, ha chiesto di autoridursi del 20% le ore di lavoro e di conseguenza lo stipendio nei prossimi tre mesi, aprile, maggio e giugno.

di Maurizio Blondet

Ne dà notizia il Eindhovens Dagblad, giornale della cittadina della ex Philip. Ciò, dicono i sindacati, benché la multinazionale abbia “un fatturato di 6,2 miliardi di euro e sta realizzando profitti”

Commerzbank invita i mercati a disfarsi dei titoli italiani, perché l’Italia senza il MES fallirà e collasserà nei disordini. Una malignità incoercibile, in cui entrano insieme il dispetto per il fatto che i BTP in realtà si vendono bene avendo un rendimento, e i “mercati” sono (erano) assetati di rendimenti.

E’ il vizio di Berlino, da quando ha adottato l’euro, di guardare nel nostro piatto: stai mangiando la roba mia? Meglio di me? Tu che non hai fatto le riforme e vissuto sopra i tuoi mezzi? Il tutto coronato dalla ottusa stupidità che se l’Italia fallsice come Commerzbank ardentemente desidera, fallisce la Germania e le banche tedesche che anche loro hanno 88 miliardi di titoli italiani (perché rendono qualcosa).

Sono due esempi tra i tanti

(in Italia ce ne sono decine) della convinzione, nutrita negli ambieni privilegiati, che “il “niente sarà più come prima”, invece sarà di nuovo come prima. I profitti lucrati tagliando le paghe dei propri dipendenti, l’ordoliberismo, la precarietà, la disoccupazione giovanile di massa, la globalizzazione che bene o male funzioneà di nuovo, l’Europa che si allarga al Montenegro e che ci guarda nel piatto, i frugali che sanzionano noi Pigs (col consenso dei nostri governi), la NATO in morte cerebrale  che ingloba l’Ucraina e la Georgia e la Bielorussia.

Di fronte a questa cecità, irresponsabilità e cortezza di mente, è giusto segnalare la presa grave di coscienza che viene dalla sede più improbabile: il Financial Times, centrale ideologica del liberismo di mercato e della globalizzazione se mai ce ne sono. Un articolo, firmato dal comitato editoriale, mostra un chiara coscienza  che dietro la pandemia, arriva il Grande Collasso del Sistema, e per una causa più radicale e fondamentale di ogni considerazione economica. Già il titolo è inaudito, su quella carta rosea:

Il virus mette a nudo la fragilità del  contratto sociale

Sono necessarie riforme radicali per forgiare una società che funzioni per tutti.

Il testo:

Se c’è una piccola  consolazione nella  pandemia di Covid-19, è che ha iniettato un senso di solidarietà nelle società polarizzate. Ma il virus e le chiusure economiche necessarie per combatterlo, hanno anche acceso una luce abbagliante sulle disuguaglianze esistenti – e addirittura ne creano di nuove.

Oltre a sconfiggere la malattia, la grande prova  che tutti i paesi dovranno affrontare sarà presto se gli  attuali sentimenti di   unità verso uno scopo comune  daranno forma alla società anche dopo la crisi.

Come i leader occidentali avevano imparato nella Grande Depressione

e dopo la seconda guerra mondiale, per chiedere un sacrificio collettivo devi offrire un contratto sociale a beneficio di tutti .
La crisi odierna sta rivelando fino a che punto le nostre società ricche non sono all’altezza di questo ideale. I governi prendono misure atte a evitare i fallimenti di massa e ad affrontare la disoccupazione di massa.  Nonostante gli appelli alla mobilitazione nazionale, non siamo davvero tutti nella stessa barca.

Le chiusure dei settori economici pesano di più su quelli che già stavano peggio. In un attimo,  milioni di posti di lavoro e salari di sussistenza sono stati persi nei settori del turismo, alberghiero e tempo libero, mentre i lavoratori con una conoscenza meglio retribuita spesso affrontano solo il fastidio di lavorare da casa. Peggio ancora, coloro che svolgono lavori a basso costo che possono ancora lavorare spesso rischiano la vita – come badanti e operatori sanitari, ma anche come impilatori di scaffali, autisti addetti alle consegne e donne delle pulizie.

Quei paesi che

hanno  permesso “il consolidarsi di un mercato del lavoro precario, irregolare, in nero, ora trovano particolarmente difficile incanalare aiuti finanziari ai lavoratori con questi impieghi insicuri. Per contro, l’ampio allentamento monetario da parte delle banche centrali soccorre i ricchi. Dietro tutto, i servizi pubblici sottofinanziati scricchiolano sotto il peso dell’applicazione delle politiche di crisi.

Il modo in cui facciamo la guerra al virus favorisce alcuni a spese di altri. I morti di Covid-19 sono in gran parte vecchi. Ma le più grandi vittime dei lockdown sono i giovani e attivi, a cui viene chiesto di sospendere la loro istruzione e rinunciare a entrate preziose. I sacrifici sono inevitabili, ma ogni società deve dimostrare come risarcirà coloro che sopportano il carico più pesante degli sforzi nazionali.

E qui, attenzione, il Financial Times conclude a sensazione:

Dovranno essere messe sul tavolo – invertendo la direzione politica prevalente degli ultimi quattro decenni – riforme radicali. Gli Stati dovranno accettare un ruolo più attivo nell’economia. Si dovranno considerare i servizi pubblici come investimenti piuttosto che passivi, e cercare modi per rendere i mercati del lavoro meno insicuri.

La ridistribuzione della ricchezza sarà di nuovo all’ordine del giorno ; i privilegi degli anziani e dei ricchi messi in questione. Le politiche fino a poco tempo fa considerate eccentriche, come il “reddito di base” e le imposte patrimoniali , dovranno essere nel mix.

Il Financial Times chiede politiche socialiste

allibisce “Moon of Alabama”, nonostante sia blog alternativo. Perché è americano. No, corregge  l’europeo Philippe Grasset, l’analista di Dedefensa: quella che il FT evoca è “politica sociale”, la responsabilità dello Stato nell’economia, eventualmente il dirigismo, le nazionalizzazioni, lo Stato Sociale: “una politica sociale sovranista”, che  la cultura europea ben conosceva (da Keynes a Beneduce a Fanfani,da Mattei a Erhard ) prima di abbandonare i popoli ai “mercati” speculativi perché tornassero a conoscere “la durezza del vivere”. 

E’ evidente che i caporioni della Philips che ingiungono, senza nemmeno “trattativa” ai dipendenti di tagliarsi i salari del 20%  mentre la multinazionale fa profitti, nulla hanno colto del “contratto sociale” necessario da ristabilire.

Così come gli “europeisti” che meccanicamente affastellano Stati agli stati e staterelli che mai hanno vissuto insieme, senza alcuna tradizione comune, pensano si possa impunemente fare a meno del sensi di un destino comune nel momento della più tragica crisi, gli anti-nazionalisti che si ostinano a non capire che essere “nazione” significa,  nelle guerra come nella Grande Depressione, “solidarietà” verso i compatrioti, i poveri, i feriti, gli sfruttati  in quanto comunità “storica” diversa per identità dalle altre, verso cui gli individui hanno dei doveri – di giustizia e di figliolanza.

E’ la  riscoperta

che ne momenti di crisi estrema, occorre fare appello a valore che non è sul mercato, non è merce; a risorse spirituali che sono precisamente quelle che il capitalismo totalitario ha distrutto, perché è “una rivoluzione culturale permanente, il cui scopo è di sradicare tutti gli ostacoli storici, filosofici, morali all’accumulazione del capitale”.

Dal detto della Thatcher, “la società non esiste, esistono gli individui”, profondamente radicata nell’empirismo anglosassone, quello del Financial Times è un salto di intelligenza, riconoscimenti dei propri errori, e visione del futuro di cui i “nostri” governanti per conto terzi non sono, naturalmente, capaci.

Ridicolo e prova di cecità invincibile l’appello di “accademici europei” riportato su Repubblica:

E’ venuto il momento di un nuovo patriottismo europeo.

No, quel momento è passato da gran tempo, e voi lo avete reso impossibile avendo applaudito alla cancellazione delle patrie e demonizzato i patriottismi concreti, storici e reali come “populismi” e “sovranismi” su cui sputare.

Adesso non solo l’unità europea “è in pericolo”

È il momento in cui viene alla luce anche “il fallimento dello Stato  Nazionale italiano”, che beninteso i maggiordomi di Berlino che ci governano continuano a “negare”; ma che per esempio Limes riconosce con una franchezza non abituale. Da questo riconoscimento, da questa onestà intellettuale, può nascere qualcosa. Dalla denegazione, qualcosa di peggio della guerra civile: la guerra incivile e caotica dei neo-primitivi  “liberati”.

 

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È il momento dello Stato: per l’interesse nazionale dell’Italia

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