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Attacco congiunto di Goldman Sachs e JP Morgan all’Italia in vista del Referendum

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#ReferndumCost

Il clima che si respira all’interno del mercato finanziario è lo stesso che si può assaporare passeggiando in alcuni quartieri di Scampia o Secondigliano, se non peggio.

Le intimidazioni e le minacce anche esplicite sono infatti le armi usate dai grandi attori della finanza internazionale, impegnate così a influenzare in maniera illecita le scelte dei cittadini. In vista del Referendum italiano, previsto per il prossimo 4 dicembre, si sono attivati i “grandi burattinai” con ogni mezzo lecito o meno che sia.

Eccovi alcuni esempi.

Il 30 settembre scorso Bloomberg, agenzia di stampa di riferimento degli investitori internazionali, titolava così: “Fate of Italy’s economy at risk if Renzi’s Referendum fails” (“Il destino dell’economia italiana a rischio se il Referendum di Renzi fallirà“). Una minaccia esplicita rivolta a quegli elettori che sono sulle posizioni del “no”. Nell’articolo viene infatti prospettata l’ipotesi di una crisi politica a seguito della possibile vittoria dei “no”, dovuta alle probabili dimissioni di Renzi e ad una conseguente instabilità dei mercati che potrebbe portare l’economia nostrana su uno “shaky ground” (“piano traballante“). Su quello “shaky ground” ci sono i risparmi delle famiglie italiane, i nostri stipendi e le pensioni.

A rincarare la dose di minacce ci aveva già pensato JP Morgan, società leader nei servizi finanziari globali, che in documento risalente al maggio 2013 dal titolo “aggiustamenti nell’area euro” faceva riferimento a “Costituzioni dei Paesi del Sud inadatte a favorire la maggiore integrazione europea“. Già nel 2013 l’alta finanza aveva chiamato a gran voce il Referendum.

Due anni e mezzo dopo Renzi ne ha raccolto l’invito.

Anche Goldman Sachs, la banca d’affari più grande al mondo, non si è esentata dal lanciare questo tipo di minacce non troppo velate: gli analisti della banca americana hanno infatti sostenuto (come riportato su Wall Street Italia lo scorso 7/9) che una vittoria dei “no” porterebbe “incertezza economica” e impedirebbe un aumento di capitale per la banca Monte dei Paschi di Siena. Un mancato aumento che produrrebbe ovviamente un effetto a cascata su tutto il sistema bancario italiano, mettendo così a rischio i risparmi di milioni di famiglie italiane.

Non finisce qui.

Tutte queste minacce si ripercuotono nel concreto sui titoli di Stato italiani che ora, teoricamente, dovrebbero avere un rendimento bassissimo in seguito al Quantitative Easing attuato da Draghi (ovvero l’acquisto della BCE di titoli europei fino ad azzerarne i tassi d’interesse).

C’è un ma ovviamente.

In questa metà di ottobre il differenziale dei tassi d’interesse tra i Btp italiani e quelli spagnoli è tornato positivo: ovvero i titoli italiani rendono di più di quelli emessi dai nostri colleghi ispanici. Lo spettro dello spread (ovvero il differenziale tra i tassi d’interesse di titoli di stato di diversi paesi) sta per tornare alla ribalta, visto che sull’asse Italia-Spagna ha segnato un rialzo di 45 punti.

Qual è il problema dei titoli di Stato? Se questi rendono troppo poco, come a seguito della sciagurata manovra di Draghi, non li compra nessuno; se rendono troppo, lo Stato avrà grosse difficoltà nel pagare gli interessi dei titoli agli acquirenti, arrivando così al rischio d’insolvenza. Uno spettro che l’Italia ha conosciuto nel 2011, quando, “inspiegabilmente”, la BCE smise di comprare titoli di Stato italiani, provocando un aumento dei tassi d’interesse e uno spread con la Germania talmente alto da far costringere il Governo Berlusconi alle dimissioni.

I più grandi colossi finanziari mondiali hanno dunque già contribuito a sovvertire l’esito delle votazioni italiane, sono pronte a farlo di nuovo.  

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Di Redazione Elzeviro.eu

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