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Donne e informatica: un binomio molto proficuo, nonostante i pregiudizi

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Il rapporto tra donne e informatica non è mai stato facile, come dimostra il pregiudizio secondo cui scienza e tecnologia sarebbero “cose da uomini”. A tal punto che questi stereotipi finiscono spesso per dissuadere le ragazze dall’affrontare determinati percorsi di studi nel settore digitale.

Proprio nel periodo di massima espansione delle tecnologie digitali, si constata una continua e preoccupante diminuzione del numero di donne che decidono di specializzarsi nel campo delle ICT.

Mentre la domanda di lavoratori altamente qualificati aumenta, il numero di donne specializzate nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione diminuisce. Secondo molti ricercatori, questo è dovuto in larga misura ad una serie di “barriere di genere” che disincentivano fortemente l’ingresso delle ragazze in questo settore.

Il cambiamento deve partire dall’educazione

Per far sì che le donne possano cogliere le stesse opportunità lavorative dei colleghi maschi, bisogna operare affinché questi ostacoli vengano meno. Secondo gli esperti infatti, l’educazione è il modo più efficace per combattere la concezione delle carriere ICT come intrinsecamente maschili e per contrastare il pregiudizio diffuso secondo cui le ragazze avrebbero “menti non tecniche”.

L’insieme di queste idee (timore di essere ritenute inadatte ai lavori di programmazione e sviluppo di software) crea implicitamente un ambiente che scoraggia le giovani donne dal perseguire studi in materie quali matematica, scienze o ingegneria.

Per contrastare tutto ciò, bisogna far conoscere alle ragazze una parte del mondo delle ICT che troppo spesso passa in secondo piano: quello in cui le donne hanno spazio per creare ed avere successo. La possibilità di fare carriera, ottenere risultati encomiabili e raggiungere i propri obiettivi professionali non solo è possibile, ma succede anche per le donne che lavorano nel settore delle ICT.

Le donne che hanno fatto la storia delle ICT

Innanzitutto, è imprescindibile narrare le gesta delle figure femminili che hanno fatto la storia, o che stanno costruendo il futuro, delle ICT. Dal primo programma, al primo linguaggio, fino alla prima foto di un buco nero: eccone alcune menti che hanno infranto i cliché sul rapporto tra donne e informatica.

Molti sanno che fu il matematico inglese Charles Babbage a inventare nell’Ottocento la prima macchina per il calcolo automatico. In pochi sanno invece, che il metodo per programmarla non lo creò lui, bensì la sua assistente: Ada Lovelace (1815-1852), figlia del poeta George Byron e grande appassionata di matematica.

Nel 1843, a 28 anni, Ada inventò il primo programma della storia informatica e in suo onore è stato poi sviluppato negli anni Ottanta il linguaggio di programmazione ADA.

 

Grace, l’inventrice del Cobol e del debugging

Scienziata con un dottorato in matematica e contrammiraglio della Marina statunitense, Grace Murray Hopper (1906-1992) è stata la prima programmatrice del computer Mark I, usato dagli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale per decifrare i codici nemici.

Fu lei a inventare il termine debugging per indicare la procedura di individuazione e correzione dei malfunzionamenti: il computer si era bloccato e Grace risolse il problema eliminando la falena (il bug, insetto) che vi era rimasta intrappolata. Ma Grace Hopper è stata soprattutto l’inventrice del linguaggio di programmazione Cobol, sviluppato nel 1959 e in uso ancora oggi.

Le registe dell’allunaggio, del web e del buco nero

È anche grazie a lei se nel 1969 la missione dell’Apollo 11 ebbe successo: a 33 anni Margaret Hamilton era la direttrice del Engineering Division del MIT Instrumentation Laboratory, che sviluppò il software di bordo per il programma spaziale Apollo. Per questo motivo ha ricevuto nel 2016 la Medaglia presidenziale della libertà: la più alta onorificenza per un civile statunitense.

 

Radia Perlman invece, a 69 anni è tuttora annoverata tra i più grandi esperti a livello mondiale di ingegneria delle reti; al di là dei numerosi brevetti registrati, l’invenzione che l’ha resa famosa è stata quella del protocollo STP (Spanning Tree Protocol), usato per realizzare reti complesse. Il suo codice di comunicazione è una colonna portante del funzionamento del web.

Come non citare infine Katie Bouman e il sorriso – di fronte al suo computer – che ha fatto il giro del mondo? A 32 anni non solo è professoressa associata al California Institute of Technology, ma è già diventata celebre per aver sviluppato uno degli algoritmi usati per scattare la prima foto al mondo di un buco nero.

 

 

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Di Andreea Sbiera

Studentessa al terzo anno di Innovazione sociale, comunicazione e nuove tecnologie presso l'Università di Torino.

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