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Il dibattito sulla patrimoniale è indipendente da quello sull’austerità

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La questione sulla “patrimoniale” è piuttosto semplice. Se questa viene presentata come misura per “finanziare cose” – che siano politiche sociali, riduzione delle tasse per altre fasce della popolazione ecc. – vuol dire che si è saldamente ancorati nella logica dell’austerità e della “coperta corta”, per cui se si vuole aumentare la spesa di qua o ridurre le tasse di là, bisogna “prendere i soldi” da qualche altra parte.

di Thomas Fazi

Che si tratti di un approccio del tutto autolesionista – dalla prospettiva di chi spera di migliorare le condizioni materiali dei ceti medio-bassi – lo si evince dal fatto che, accettando questa logica, indirettamente si accetta anche che, se la proposta in questione non dovesse passare – come nel caso della recente proposta da alcuni deputati di LeU e PD, la cui bocciatura era scontata -, si dovrà necessariamente rinunciare alle misure che la patrimoniale in questione avrebbe dovuto finanziare.

Della serie «c’abbiamo provato, sarebbe bello, ma purtroppo non si può fare perché non ci sono i soldi». Insomma, l’unico obiettivo raggiunto sarà quello di aver convinto la gente dell’impossibilità di finanziare quelle misure. Un bel successo, non c’è che dire!

L’approccio va completamente ribaltato: qualunque misura atta a migliorare le condizioni materiali della popolazione va finanziata nell’unico modo in cui si finanziano tutte le politiche di bilancio nei moderni regimi monetari (che si tratti di aumenti della spesa pubblica o di riduzione delle tasse), cioè attraverso l’emissione di base monetaria. La tassazione e/o l’emissione di titoli, infatti, avviene sempre in un secondo momento.

Questo almeno nei regimi che detengono la sovranità monetaria, dove le politiche di bilancio avvengono sempre in un regime di cooperazione “automatica” tra banca centrale e governo, laddove il secondo non è mai tenuto a chiedere il “permesso” al primo, che si limita a facilitare le decisioni di bilancio del governo.

Da noi la situazione è più complicata, visto che le politiche di bilancio richiedono il “consenso” della BCE (che oggi sta facendo il suo dovere di banca centrale, ma per quanto?). Ma allora ci si aspetterebbe che una sinistra degna di questo nome parli di questo, che è il vero nodo della questione (irrisolvibile nella cornice dell’eurozona).

E invece non c’è niente da fare: la sinistra non riesce a uscire dalle stesse proposte fallimentari di sempre, riflesso di una comprensione del tutto fallace di come funzionano i moderni sistemi monetari (nonché che delle più basilari logiche politiche: vedasi l’insistenza a usare il termine, ormai tossico, “patrimoniale”).

Quanto detto significa che non si debbano tassare i grandi patrimoni e/o che non si debba introdurre una fiscalità più progressiva? Assolutamente no. Vi sono ottime ragioni per tassare i ricchi, a partire dalla riduzione dello strapotere economico (e dunque politico) di cui godono in virtù del loro patrimonio. Ma bisogna entrare nell’ottica che le tasse non finanziano la spesa pubblica e che dunque non c’è nessun bisogno di andare a elemosinare soldi ai ricchi per finanziare le politiche sociali.

Attuare prima le misure di sostegno all’economia – nella fattispecie una riduzione delle tasse sulla classe media – e poi, in un secondo momento, cominciare a parlare di tassazione dei grandi patrimoni avrebbe tra l’altro il vantaggio di eliminare uno dei principali ostacoli all’implementazione di misure di questo tipo: il timore – del tutto giustificato, vista la storia recente del nostro paese e soprattutto l’impossibilità di controllare efficacemente i movimenti di grandi capitali – di finire nella “rete” della patrimoniale.

Va da sé, infatti, che, una volta vistesi già ridotte le tasse, la classe media non avrebbe alcuna ragione di temere che la successiva “patrimoniale”, se così la vogliamo chiamare, la colpisca, giacché non avrebbe alcun senso ridurre le tasse per poi ri-aumentarle un attimo dopo.

Ma comprendo che ormai questi ragionamenti siano al di là della portata di una classe politico-intellettuale “de sinistra” che arriva addirittura a emozionarsi per una proposta che arriva da… Orfini. E già questo sarebbe dovuto bastare.

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