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De Luca e Carofiglio: ecco la sinistra che tifa per lo sfruttamento dei lavoratori

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Il tradimento da parte della cosiddetta “sinistra” nei confronti della classe operaia è fatto ormai certificato a più riprese da diverse angolazioni.

Le ultime esternazioni di due esponenti culturali di quest’area politica come Erri De Luca e Gianrico Carofiglio, certificano che questo voltafaccia non solo è avvenuto, ma viene ora addirittura rivendicato.

La distanza tra la sinistra politica e l’ex proletariato

non è più solo uno slogan elettorale dei partiti avversi, si tratta invece una realtà fattuale dei nostri tempi, confermata dai diretti interessati. In una recente intervista rilasciata a Repubblica dal noto scrittore Erri De Luca si affrontava per esempio lo scivoloso tema della migrazione.

In economia la rinuncia all’impiego di manodopera immigrata a basso costo è atto di autolesionismo.

Queste le incredibili affermazioni del De Luca, che in una sola frase rovescia le fondamenta ideologiche della sinistra.

Se per Marx e Gramsci infatti l’impiego di manodopera a basso costo, immigrata o meno, rappresentava esclusivamente la vittoria del capitalista e dei suoi privati interessi sugli schiavi salariati, secondo De Luca invece si tratta di un’incredibile opportunità. Opportunità per chi, verrebbe da chiedersi. Non sicuramente per i manodoperisti immigrati, costretti a rispettare inique leggi del mercato, accettando stipendi più bassi del dovuto.

Non vi è dubbio che De Luca

si riferisca a chi da quel lavoro sfruttato trae profitto, che non sono sicuramente innocui artigiani con imprese a conduzione familiare, bensì i tristemente noti caporali latifondisti con i loro campi di pomodoro. La dichiarazione di De Luca segna uno spartiacque ulteriore nella storia moderna della sinistra, perché adesso i suoi intellettuali non hanno solo rinunciato alla lotta sociale. Adesso hanno apertamente abbracciato le idee e i principi che la sinistra storica si era impegnata a combattere fin dalla sua nascita.

Un cambio di paradigma di cui avevamo già avuto un assaggio con l’incredibile affermazione del filosofo Cacciari, il quale auspicava l’esportazione di 8 milioni di africani verso il continente europeo, per la sostenibilità del suo welfare. Un assaggio divenuto conferma con la dichiarazione di De Luca a cui è seguita un’ulteriore dimostrazione.

In una recente puntata di Ballarò

lo scrittore Gianrico Carofiglio, noto antisalviniano, è stato chiamato a rispondere dal conduttore Floris sul perché l’espressione “prima gli italiani” sia semplice propaganda. Nella sua breve disamina, Carofiglio ha cercato di porre l’accento sul fatto che “il genere umano” sia unico e che differenze razziali, o nazionali, servono solo per creare contrapposizione. Un’affermazione umanista che sarebbe ineccepibile per un uomo “di sinistra”, non fosse che Carofiglio ha aggiunto come chiosa la seguente, inquietante dichiarazione

Aldilà del fatto che le gerarchie tra gli uomini per la distribuzione delle risorse ci vogliono.

Secondo Carofiglio, quindi, non sarebbe “umano” classificare le persone in base alla loro nazionalità, alla loro religione, o alla loro cultura. No, l’unico criterio di divisione, legittimo per Carofiglio, è la gerarchia presente per la distribuzione di risorse. Un’ideologia che richiama da vicino i principi del darwinismo sociale ottocentesco. Quella precisa visione del mondo secondo cui gli uomini sarebbero in perenne lotta tra di loro per la sopravvivenza e solo i più forti avrebbero così diritto ad una migliore esistenza. Gli sconfitti invece sono destinati a soccombere.

In una sola dichiarazione

Carofiglio è riuscito a giustificare tutte le peggiori ingiustizie della storia contemporanea, quali:

  1. Lo sfruttamento economico delle risorse dei Paesi del terzo mondo (perché si tratta di una “gerarchia” da rispettare),
  2. Le guerre portate contro Paesi inermi per accaparrarsi le materie prime (perché in guerra vince il più forte e il più forte è il primo della gerarchia),
  3. Nonché l’esistenza di una classe sociale di poveri disperati sempre più numerosa nel mondo. Senza lavoro e senza futuro perché, in fondo, ci sono gerarchie da rispettare.

Fino ad oggi si pensava che la sinistra avesse abbandonato i lavoratori e le loro lotte semplicemente per opportunismo. La carriera, le amicizie che contano, successi editoriali garantiti e le poltrone hanno un peso sulle scelte di vita delle persone ed ecco che i privilegi dell’élite sono riusciti a corrompere un’intera generazione di ex sessantottini.

Oggi però c’è una novità: questi intellettuali non chiudono la porta in faccia ai lavoratori solo per necessità. Lo fanno perché sono effettivamente convinti che la loro nuova visione della realtà sia quella giusta. Hanno fatto proprio il discorso del capitalista, criticato nelle pagine di Marx. Vedono il mondo del futuro come un grande mercato globale, dove gli uomini sono delle semplici pedine da spostare a seconda delle esigenze del capitale. Manodopera a basso costo che diventa indispensabile e gerarchie sociali che diventano sacre, rigide ed immutabili ben più che i confini nazionali.

 

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Di Gabriele Tebaldi

Classe 1990, giornalista pubblicista, collabora con Elzeviro dal 2011, quando la testata ha preso la conformazione attuale. Laurea e master in ambito di scienze politiche e internazionali. Ha vissuto in Palestina, Costa d'Avorio, Tanzania e Tunisia.

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