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Charlie Hebdo non è immorale: semplicemente, non sa far ridere

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Le copertine del settimanale francese, spesso, innescano dibattiti sull’immoralità della sua satira. E se alla base ci fosse solo un senso dell’umorismo scadente?

Come spesso accade, prendendo in prestito la frase più celebre della trilogia di Sam Raimi sull’Uomo Ragno e distorcendola a vantaggio di chi scrive, da una grande disgrazia deriva una grande visibilità. Approssimativamente, è proprio quello che è successo al settimanale satirico Charlie Hebdo, dopo la strage che il 7 Gennaio del 2015 costò la vita a dodici persone (dieci della redazione e due poliziotti). Intendiamoci bene, non si trattava certo di una rivista di provincia o con la stessa sfera di influenza di un giornale scolastico, bensì di un prodotto molto rinomato –e discusso- in patria e con una ristrettissima nicchia di simpatizzanti all’estero; una popolarità che, quasi inevitabilmente, è lievitata a dismisura dopo il summenzionato atto terroristico, raggiungendo una portata planetaria.

La vignetta incriminata

Da allora, grazie a questa sfortunata cassa di risonanza, Charlie Hebdo è assurto al ruolo di grande provocatore

La vignetta di Charlie Hebdo dedicata al Ponte Morandi

internazionale e spesso, in seguito alle sue copertine, si sono generati dibattiti incentrati sul significato, sui limiti e sulla moralità della satira. Quasi come se, tutto d’un tratto, il periodico d’oltralpe si fosse trasformato nel termometro globale di questa nobile arte

Nulla di diverso da quanto accaduto con l’ultima vignetta, creata con l’intento di ironizzare e creare uno spunto di riflessione -seppur in modo incomprensibile- sul crollo del ponte Morandi di Genova. Una copertina nella quale si può nitidamente notare il rudere dell’infrastruttura in fase di sgretolamento, una macchina che si schianta a terra dopo essere precipitata nel vuoto ed un netturbino subsahariano (o nero, o di colore, insomma decidete voi il termine che nell’epoca della dittatura del politicamente corretto urta meno la vostra sensibilità) che spazza via i detriti con una scopa; il tutto, affiancato dal titolo “costruito dagli italiani…pulito dai migranti”.

Il precedente di Amatrice

Un comportamento sul quale, tuttavia, pende una pesante recidiva. La redazione parigina infatti, aveva già dimostrato in passato la propria attenzione nei confronti delle tragedie di casa nostra, scatenando altrettante polemiche, con una vignetta di senso altrettanto incompiuto, in seguito al terremoto di Amatrice di due anni fa. In quella occasione, il settimanale francese aveva osato un forzatissimo parallelismo tra tre tipi di conseguenze fisiche dovute al sisma e tre tipi di pasta, culminando con la raffigurazione di una serie di strati alternati di corpi e macerie, affiancate dalla scritta “lasagne”.

Satira e moralità

In seguito a questa panoramica riassuntiva, ciò che si può evincere è che ad essere distorto, ancor prima del senso dell’umorismo di alcuni vignettisti, è l’oggetto delle polemiche innescate dalle suddette copertine. Come anticipato poc’anzi infatti, i numeri di Charlie Hebdo scatenano sempre ingenti controversie attorno all’essenza della satira, ma si tratta di una diatriba tremendamente sterile; tanto per ciò che concerne i suoi limiti, quanto per ciò che concerne i requisiti di moralità.

Premesso il relativismo che aleggia attorno al significato di questo termine e, pertanto, le difficoltà nel delineare dei confini unanimi, non sta scritto da nessuna parte che questa pratica non debba essere immorale: anzi. Al massimo, dovrebbe essere coerente. Una satira coerente con la linea editoriale ed artistica dettata dai vertici della redazione, la quale decida di sposare un’ironia fondata su un black humor integralista e privo di qualsivoglia tabù, farebbe imbestialire moltissime persone, ma allo stesso tempo non discriminerebbe nessuno. Esiste qualcosa di più nobile della coerenza o di un’arte fondata su di essa?

Un parere autorevole

Come sostenuto dall’anonimo autore del blog Svart Jugend (che sull’assenza di limiti ha fondato la sua avanguardista satira sociale e politica a tinte horror-demoniache), in un’intervista rilasciata ad Adriano SciancaAnche la satira, tradizionalmente, è politica. Poi, come avvenne in Italia ai tempi di Berlusconi, si mescolano come sempre le carte distribuendo le definizioni di “satira”, “umorismo” e “politica” secondo convenienza, quindi ogni dibattito è come al solito falsato in partenza… C’era certamente l’esigenza di dire quello che non si poteva dire e sparare a zero su tutto e tutti, perché era il momento in cui si stava affermando (istericamente come sempre, ma in realtà molto timidamente) quel politicamente corretto che oggi è realtà istituzionale.”

La vera radice del problema: il senso dell’umorismo

In conclusione, il vero centro nevralgico delle dispute generate dalle copertine della rivista francese, dovrebbe essere un altro. Ci si riferisce allo scopo primigenio della satira, a quella abilità che è requisito ben più importante della coerenza: la capacità di far ridere. La volontà di suscitare una critica, un dibattito o una denuncia non ha alcun valore satirico, se non è supportata da uno spiccato senso dell’umorismo. Un senso dell’umorismo che deve essere, alla stregua di tutte le pratiche artistiche, oltremodo brillante e fuori dal comune.

E’ superfluo aggiungere che non si possa riscontrare nessuna sagacia e nulla al di fuori dell’ordinario, in una rivista che fonda la propria satira su banali stereotipi (come paragonare gli italiani alla pasta) o sull’accostamento di fatti di cronaca tra i quali non intercorre alcun nesso logico (come il crollo del ponte Morandi e l’emergenza migratoria).

Il punto, dunque, non riguarda né l’assenza di tatto, né la crudeltà, né tantomeno l’immoralità di Charlie Hebdo: il punto, è che Charlie Hebdo ha un senso dell’umorismo scadente. Di conseguenza, se non sa far ridere, è altamente probabile che la sua non sia satira.

 

Filippo Klement

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