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Bush e la distruzione del Medio Oriente laico

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La dipartita dell’ex Presidente George Bush senior ha scatenato la solita corale uniforme pronta a cantare in maniera agiografica le lodi di un personaggio contraddittorio.

Come è da poco tempo successo a seguito della scomparsa del Senatore John McCain, un megafono a reti unificate, cui hanno partecipato politici e media degli schieramenti più disparati, ha voluto dare agli occhi del mondo un’immagine beatificata del 44esimo Presidente degli Stati Uniti d’America.

Da Barack Obama a Repubblica, il coro unanime che santifica Bush senior

A destare stupore non è però un semplice cordoglio che deve essere rispettosamente dovuto ad una persona defunta, a prescindere da ciò che ha rappresentato in vita, ma la precisa necessità di sottolineare pregi e meriti che non si ritrovano ad un’analisi puntuale della carriera del personaggio.

Tra i vari esponenti corifei vi è Barack Obama che ha definito la vita di Bush: “una testimonianza di servizio per lo Stato nobile e glorioso. E ha fatto un gran bene durante la sua vita”. Non ha dubbi dunque l’ex presidente simbolo dell’emancipazione nera in America. Questo, nonostante Bush senior non ebbe alcuna vergogna nell’utilizzare un fatto di cronaca del 1988 per farne uno spot elettorale diretto proprio contro la comunità nera. Si trattava dello stupro di una donna americana perpetrato da un evaso di galera. Obama evidentemente preferisce sorvolare sull’accaduto.

Navigando verso i lidi nostrani il resoconto agiografico su Bush diventa ancora più marcato. Scrive Repubblica in riferimento alla famiglia Bush: “Quella gente d’altri tempi che aveva saputo combinare il profitto privato con il servizio pubblico, la ricchezza con il sacrificio, il potere con il pudore”. “Il mondo perde uno statista illuminato”, è stata invece la dichiarazione di Silvio Berlusconi.

Quel pretesto usato per scatenare la Guerra in Iraq

Bellissime parole che tuttavia stonano profondamente con alcuni degli atti politici presi da George Bush senior durante i suoi quattro anni di mandato, dal 1989 al 1993. Quello che pesa in particolare è stato l’inizio dell’interventismo americano in Medio Oriente. La Prima Guerra del Golfo data infatti 1991, nel pieno dell’attività del Presidente. La narrativa ormai sedimentata rispetto a quella guerra mossa dagli Stati Uniti contro l’Iraq giustifica quell’intervento come difesa della sovranità del piccolo Kuwait. Persino un grande critico delle guerre statunitensi come Massimo Fini, ha scritto che la Prima Guerra del Golfo è stata fatta perlomeno sotto l’ombrello Onu.

Tutto vero, peccato che anche in quel caso l’utilizzo di un casus belli discutibile sia risultato decisivo per convincere gli alleati internazionali ad intervenire. Come scritto dalla giornalista investigativa Joshua Keating la Prima Guerra del Golfo “si basa su una montagna di propaganda”. Inoltre, nel luglio del 1990 l’Ambasciatore americano a Baghdad, April Gaspie, discusse con Saddam Hussein sulla volontà irachena di riappropriarsi del Kuwait, storicamente parte dell’Iraq. L’Ambasciatore statunitense dichiarò che “Non abbiamo nulla da ridire sui conflitti tra arabi, come le vostre recriminazioni sui confini con il Kuwait”. Insomma gli Stati Uniti diedero un diplomatico benestare all’operazione militare irachena, per poi rimangiarsi il tutto qualche mese successivo.

I motivi della Guerra del Golfo visti dall’Iraq

Come trasformare uno Stato laico e tollerante in crocevia di terrorismo

Rispetto a quell’intervento ci fu poi un vero e proprio caso di falsificazione delle prove, stile provetta di Colin Powell. Per giustificare ulteriormente l’invio di truppe in Kuwait e Arabia Saudita, gli Stati Uniti fornirono immagini satellitari che ritraevano oltre 250.000 soldati iracheni posti lungo il confine con il Kuwait. Foto che in realtà si rivelarono essere un falso, come denunciato dal giornalista Jean Heller. “Quello schieramento di forze era l’intera giustificazione per l’invio di truppe da parte di Bush, e semplicemente non esisteva”, scriveva il giornalista.

Soldati iracheni carbonizzati dopo l’intervento americano del 1991

Insomma tutto questo per dire che quell’attacco firmato George Bush costò la vita a 158mila iracheni, di cui ben 13mila civili e fu il primo passo per la distruzione di quell’Iraq laico e tollerante verso le minoranze religiose, anche cristiane. In questo senso si può ragionevolmente affermare che quell’intervento, condotto senza troppa cura della tutela dei civili, piantò il seme del risentimento in Medio Oriente e aprì le porte all’estremismo islamico. Non a caso l’Iraq è il luogo dove, dopo l’uccisione di Saddam Hussein, hanno potuto proliferare le più pericolose cellule terroristiche, da Al Qaeda fino all’Isis.

Risultano quindi fuorvianti quelle parole condite da retorica rilasciate per la memoria di George Bush. Meglio ricordarlo con le parole di Ahmed Coulibaly, l’attentatore di Charlie Hebdo, che in poche righe riassume quel legame che intercorre tra gli scellerati interventi occidentali e la conseguente nascita del terrorismo:

Tutto quello che facciamo è legittimo. Non potete attaccarci e pretendere che non rispondiamo. Voi e le vostre coalizioni sganciate bombe sui civili e sui combattenti ogni giorno. Siete voi che decidete quello che succede sulla Terra? Sulle nostre terre? No. Non possiamo lasciarvelo fare. Vi combatteremo

 

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Di Gabriele Tebaldi

Classe 1990, giornalista pubblicista, collabora con Elzeviro dal 2011, quando la testata ha preso la conformazione attuale. Laurea e master in ambito di scienze politiche e internazionali. Ha vissuto in Palestina, Costa d'Avorio, Tanzania e Tunisia.

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