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La negligenza dello Governo che grava sulle mamme italiane

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Un recente report condotto dall’Istat ha evidenziato le due strutturali debolezze del nostro paese: la scarsità di servizi per la prima infanzia e la bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro.

In questi giorni è stato pubblicato l’ultimo rapporto sui servizi educativi per l’infanzia condotto dall’Istat in collaborazione con l’università Ca’ Foscari di Venezia e il Dipartimento per le politiche della famiglia.
Il quadro che è emerso da questa indagine è piuttosto chiaro e riporta alla luce un tema che fin troppo spesso viene ignorato.

Infatti, sebbene lo stesso Nicola Zingaretti a febbraio avesse aperto un dibattito sulla questione, promettendo maggiori investimenti finanziari per la scuola primaria, le buone volontà si sono poi presto dissipate una volta esplosa l’emergenza sanitaria.

Il disservizio italiano

I dati che sono stati riportati dall’indagine sembrano veramente preoccupanti. Il nostro paese soffre di un vero e proprio deficit nel garantire l’accesso all’educazione pre-primaria, cioè per tutti quei bambini tra gli 0 e i 2 anni.
La situazione non è comunque migliore per la fascia d’infanzia superiore a quell’età: solamente 3 bambini su 10, dai 3 ai 5 anni, hanno possibilità di accesso alle strutture educative.

La questione è da considerarsi ancora più critica dal momento che non solo vi è una problematica di scarsità di offerta dei servizi, ma anche nella distribuzione di tali servizi. E’ stato infatti rilevato un evidente sbilancio tra le varie regioni, che rimarca per lo più -anche in questo caso- lo squilibrio tra nord e sud Italia.

A nord troviamo le regioni più virtuose (Valle d’Aosta, Emilia Romagna e Trentino Alto Adige) mentre a sud troviamo quelle più malmesse (Calabria, Sicilia e Basilicata).

Stiamo parlando di un vero e proprio disagio sociale che, tra le altre cose, ci rende anche in questo caso i fanalini di coda nelle medie europee.

Eppure non sembra un problema a cui il nostro governo ritiene dare la giusta importanza, tant’è che non sono stati presi provvedimenti in riguardo né nel famoso decreto “Cura Italia” e neppure nella più recente bozza del Family Act.

Il problema che ne consegue

In realtà si tratta di un dilemma che fa solo da riflesso a un altro altrettanto preoccupante, ovvero quello della scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro.


Stando sempre al report Istat, l’italia occupa l’ultima posizione in Europa in termini di forza lavoro femminile. Ovviamente anche in questo caso i dati presentano una distribuzione disomogenea, sottolineando ancor di più il divario tra nord e sud. E ovviamente, i risultati sono un ricalco di quelli sui servizi educativi.

Infatti è evidente quanto sia stretta la relazione tra questi due fenomeni: la stessa indagine riporta che ben il 15% delle madri non occupate in Italia non può permettersi di cercare un lavoro proprio a causa della scarsità- e talvolta inesistenza– di servizi per i propri figli.

In buona sostanza, alla grande maggioranza delle donne italiane, una volta diventate madri, si pone davanti sempre lo stesso quesito: intraprendere una carriera lavorativa o costruire una famiglia. Certo, è una decisione che -direte voi- in qualsiasi parte del mondo le donne sono chiamate a prendere. Eppure non è così, o almeno non lo è più da ormai una ventina di anni nella stragrande maggioranza dei paesi europei. Il segreto? Una buona – o per lo meno decente- offerta di servizi educativi da parte dello stato.

Non si parla di pretendere che vengano offerte scuole totalmente gratuite dagli 0 ai 18 anni come accade in Svezia, o che vengano ceduti sussidi di sostegno dallo stato ai neo genitori come accade in Danimarca e in Belgio.

Basterebbe semplicemente iniziare a investire di più in spesa pubblica nelle strutture educative e d’infanzia, così da assicurare un più ampio accesso in termini di numeri e di costi.

Un problema non solo sociale

Quello che purtroppo sfugge al nostro governo- ma probabilmente anche alla maggioranza dell’opinione pubblica- è che queste problematiche non sono solo sintomo di un disagio sociale e culturale, ma rappresentano anche una delle cause della nostra arretratezza economica su molti fronti.

Non a caso i paesi citati sopra, sono tra i più produttivi economicamente in tutta Europa.
Non si tratta solo di quel che piace chiamare ai sociologi “soffitto di cristallo” : c’è chiaramente qualcosa che non va nella struttura del welfare italiano, proprio in questo momento storico dove invece l’occupazione femminile sarebbe un’arma importante per aumentare la crescita.

E stiamo parlando di cose concrete, derivate da stime effettive: come affermano delle proiezioni della Banca d’Italia, svolte un paio di anni fa, se fosse possibile incrementare il tasso di occupazione femminile al 60%, si arriverebbe ad aumentare del 9,2% il prodotto interno lordo del nostro paese.

A fronte di dati così significativi occorre un cambiamento di rotta che punti sulla valorizzazione del capitale umano femminile per assicurare il benessere economico della società. E il miglioramento dei servizi d’infanzia sarebbe proprio un ottimo punto di partenza.

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Di Redazione Elzeviro.eu

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