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Il buonismo esiste ed è ad uso e consumo di pochi

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Il pesoforma della Bellanova usato per oscurare critiche ben più legittime, ministri “profani” dopo anni di crociate sull’inderogabilità della competenza tecnica, tutela della democrazia e al contempo ostilità al suffragio universale. Il buonismo esiste ed è quello strumento che consente alle forze liberal-progressiste di dire tutto e fare esattamente l’opposto.

Di slogan stereotipati per attaccare gli avversari politici, il lessico della neonata opposizione verde è pieno zeppo. A partire dalla sintonia con l’establishment, passando attraverso l’apertura nei confronti dell’invasione migratoria, per poi giungere infine all’etichetta “partito di Bibbiano“.

Tutte critiche legate da un percorso comune. Tutte critiche che, pur muovendo da evidenze (più o meno) tangibili, finiscono spesso per assumere i toni dell’iperbole vagamente fumettistica.Come in tutti i fenomeni politici, sociali o linguistici che siano, tocca ravvisare però un elemento derogatorio ed esso è rappresentato dall’accusa – anch’essa molto à la page – di buonismo.

Il buonismo non solo esiste, ma è probabilmente l’arma principale a disposizione degli ambienti moderati, liberal e progressisti nel nostro paese. Il buonismo funziona come uno specchietto per le allodole; è un eterno salvacondotto; un perpetuo lasciapassare; un sempiterno esci gratis di prigione.
È quel jolly che ti tira fuori dalle sabbie mobili ogniqualvolta tu ci finisca dentro, con un tasso di efficacia strabiliante.

Come funziona? Le istruzioni per l’uso sono elementari: in occasione di inferiorità o parità argomentativa (ma anche di manifesta ipocrisia), basta millantare una autoreferenziale superiorità morale, una presunta maggiore sensibilità ed una supposta miglior attitudine all’empatia. A conti fatti, una moralizzazione funzionale a cassare ogni controversia, indirizzando lo spettatore verso l’unica strada giusta. Quella di chi ha più cuore, più stile ed un vocabolario che non perde mai la bussola del politicamente corretto.

La squadra ministeriale del governo giallofucsia

Il buonismo non opera solo nel dibattito migratorio. Certo, si tende a silenziare molte opinioni volte alla risoluzione di un complesso problema sociale, occupazionale e culturale con il mantra imperativo del “restiamo umani“, ma è solo la proverbiale punta dell’iceberg.

Il buonismo è quel meccanismo che sbriciola le critiche – legittime – verso il passato di una sindacalista poco attenta alle istanze di lavoratori e contadini, depistando, ed enfatizzando esclusivamente alcune becere angherie sul peso forma della Bellanova.

Il buonismo è quel meccanismo che consente di nominare una serie infinita di ministri “profani” a capo di dicasteri in cui la competenza tecnica dovrebbe essere il principale criterio di giudizio (esteri, agricoltura, trasporti, sanità e soprattutto la tanto decantata economia); il tutto, dopo aver incentrato un anno e mezzo di opposizione sulla inadeguatezza del passato professionale e sull’iconsistenza culturale di alcuni vertici del governo gialloverde. A dire il vero più dei gialli, i compagni di banco nella attuale maggioranza.

Il buonismo, infine, è anche quel meccanismo che porta il progressista medio ad applaudire tronfio la disattivazione di tutti i profili facebook riconducibili all’area di estrema destra. “Non è censura, è che in democrazia non si possono tollerare gli intolleranti. Per il resto, piena libertà di espressione”. Dissero quegli ambienti culturali che, negli ultimi tre anni, hanno più volte caldeggiato l’ipotesi di sottrarre il diritto di voto ai cosiddetti analfabeti funzionali.

Pertanto, il buonismo esiste eccome. Ed è quel meccanismo che conferisce non solo una presunzione di superiorità e di innocenza, ma anche la possibilità di comportarsi esattamente alla stregua degli avversari contro i quali si era ampiamente predicato. Perché loro possono. Loro sono le anime belle. Loro hanno il cuore puro, lo stile impeccabile ed il lessico politicamente corretto.

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Di Filippo Klement

Classe 1990, ha studiato giurisprudenza, a latere un vasto interesse per la storia contemporanea e la politica.

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